La sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il mancato recupero dell’inflazione per le pensioni, un provvedimento deciso dal Governo Monti, ha riaperto un dibattito che dura da decenni sulla possibilità che il sistema pensionistico italiano basato sulla ripartizione – incrociandosi con l’invecchiamento della popolazione e la riduzione del gettito degli oneri sociali che in gran parte lo finanziano – possa reggere nel più lungo andare considerate le ristrettezze della nostra finanza pubblica.
Il maggiore quotidiano economico italiano si domanda se vogliamo buone pensioni o conti in ordine e uno stimato analista, Giuliano Cazzola, seguito da altri, respinge la proposta di rifare i calcoli delle pensioni dovute su basi contributive; più in generale il tema continua a essere affrontato sulla base di un astratto problema di giustizia sociale, dove vale lo scellerato patto tra elettori ed eletti che induce ad affrontarlo in modo confuso attraverso la redistribuzione dei redditi in forma palese e della ricchezza in forma mascherata.
E’ possibile mettere un po’ d’ordine?
Negli Stati Uniti è stata effettuata una ricerca che ha accertato che una percentuale elevata di elettori ha un attivo di bilancio personale nei confronti delle prestazioni ricevute dallo Stato, ossia beneficia di una negative income tax. Il blocco politico di interessi che si è venuto a creare intorno a questi privilegi inficia il buon funzionamento della democrazia. Una verifica per l’Italia ha accertato disponiamo anche noi di questi dati, ma essi non vengono resi pubblici in quanto dimostrano che una larga maggioranza degli elettori si trova in un’analoga situazione, ossia le tasse che paga sono inferiori al valore dei servizi di ogni tipo che riceve.
E’ da qui che si deve partire. Il ricalcolo delle pensioni sulla base dei contributi versati è doveroso, perché il cittadino deve sapere quali oneri porta a carico della collettività per regolarsi di conseguenza su quale sia la sua posizione nei confronti della società, sia per calmierarsi nell’uso dei servizi che lo Stato gli rende, sia per pretendere che essi vengano prodotti in modo efficiente, tutti conoscenze che devono orientare l’elettore. Poiché si va facendo strada l’ipotesi di concedere un salario di cittadinanza sotto la spinta delle proposte dell’opposizione assecondate dalla maggioranza per fini elettorali, il calcolo dei costi e benefici complessivi che ciascun individuo ha nei confronti della collettività è l’unico modo per ricollocare il problema della giustizia sociale su basi più eque e sostenibili di quelle attuali.
Su quasi ogni aspetto della vita sociale si sovrappone il carico di una redistribuzione dei redditi, facendo perdere cognizione della portata quantitativa della progressività delle imposte, divenuto un principio la cui applicazione non ha mai fine. Nel settore sanitario che non è raro il caso in cui il ticket richiesto supera il valore del farmaco o della prestazione, ma si potrebbero fare ben altri esempi di oneri imposti dalla legge che sono inferiori ad esempio al costo della loro esazione.
Questo problema tocca pesantemente la riconduzione del sistema pensionistico su basi sostenibili perché, di fronte a uno Stato che alleggerisce quest’onere per dedicarsi alla soluzione di problemi ben più importanti, come l’educazione e le infrastrutture, si deve creare un habitat favorevole alla creazione di un sistema pensionistico privato, cosa che oggi non solo non si permette, ma si grava di oneri crescenti considerando gli accumuli di ricchezza un simbolo di disuguaglianza da tassare, sovente in forme occulte, come quelle di imposizioni su redditi presunti.
Franco Modigliani vinse il premio Nobel per aver completato la teoria economica neoclassica con l’interpretazione dell’offerta di risparmio nota con l’ipotesi del ciclo vitale. Essa trovò conferma sul piano empirico anche in Italia, dove i risparmi accumulati nel corso del ciclo vitale del lavoro di un individuo venivano usati nella fase conclusiva della vita, in sostituzione o come integrazione del sistema pensionistico pubblico. Chi era cosciente di questa necessità e ha provveduto a un piano privato di accumulazione di risparmio dopo aver assolto agli obblighi fiscali, si è trovato nella duplice morsa di uno Stato che si è sostituito a lui nel godere i benefici della sua ricchezza in due modi: azzerando i rendimenti finanziari e tassando la ricchezza immobiliare a prescindere dall’esistenza di una rendita effettiva. Ironicamente sollecitai il Governo di intraprendere un’azione per togliere a Modigliani il Premio Nobel per non aver tenuto conto della presenza della tassazione (cosa che era peraltro già accaduta per il teorema Modigliani-Miller sull’indifferenza della leva finanziaria nel determinare il valore di mercato di un’impresa).
Per concludere, la soluzione del problema dell’onere pensionistico non può continuare a realizzarsi attraverso trattamenti discriminatori che rendono lo Stato il più efferato violatore di contratti, dopo esserne il più severo giudice nel richiederne il rispetto, soprattutto se ne è diretto beneficiario.
Per fare ciò occorre passare da un ricalcolo dei diritti pensionistici accumulati con le contribuzioni e da una semplificazione delle svariate forme di tassazione progressiva per evidenziare singolarmente l’esistenza di una negative income tax, soprattutto se si intende passare all’applicazione di un reddito di cittadinanza che non può prescindere da questa conoscenza. Allo stesso tempo deve essere consentito l’accumulo in esenzione fiscale di un ammontare massimo prefissato di risparmi, i cui redditi fungano da fondo integrativo pensionistico, come già accade nei paesi civili.