A distanza di 43 anni dal suo brutale omicidio a Milano per mano di emissari di “Lotta Continua”, don Ennio Innocenti con il suo ultimo libro “Luigi Calabresi: il Santo, il Martire” (Sacra Fraternitas Aurigarum Urbis, Roma 2015), arriva a chiedere alla Chiesa di verificare l’eroicità delle virtù umane e cristiane del Commissario di P.S. Luigi Calabresi (1937-1972). E non si tratta di una richiesta estemporanea se, l’anziano sacerdote della Diocesi di Roma, non solo è autore di più di 70 saggi scientifici in storia della Chiesa, filosofia e teologia, ma anche perché si è già occupato in passato di vari processi canonici, possedendo quindi le competenze necessaria a valutare se, con i criteri di giudizio delle cause di beatificazione, per Luigi Calabresi possa realmente aprirsi la via degli Altari.
Il nuovo libro di Don Innocenti sarà presentato oggi a Roma, alle ore 16.30, nel teatro della Basilica Nazionale di Santa Maria degli Angeli e dei Santi (via Cernaia 9), con ospiti interessanti come, oltre all’Autore, il Vescovo di Ascoli Piceno Mons. Giovanni D’Ercole ed il prof. Michele Malatesta, già Ordinario di Logica nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli “Federico II” e fondatore della “Rivista internazionale di logica pura e applicata, di linguistica e di filosofia”.
La conferenza si raccomanda quindi in particolare ai giovani, sia perché nell’attuale “società liquida” hanno (abbiamo!) bisogno di logica, sia perché la figura di Luigi Calabresi parla, oggi, in primo luogo a loro. Soprattutto a coloro che vorranno entrare o fanno già parte delle Forze dell’Ordine o di Corpi militari dello Stato. Infatti, la vita e la storia del Commissario romano dimostrano come sia possibile ed, anzi, necessario, ispirare la propria azione quotidiana al servizio della Comunità nazionale con la serietà e la fedeltà che contraddistinsero quest’uomo eccezionale per onestà e diligenza nell’esercizio della propria professione.
Calabresi inoltre era un vero cattolico, fedele, assiduo nella preghiera, caritatevole. Scelse di fare il Commissario di Polizia con la vocazione di difendere la propria patria-“famiglia di famiglie”, oltre che ciascuna singola persona da ogni prepotenza, abuso o crimine. Si trovò ad indagare sui responsabili della strage di piazza Fontana, il primo degli attentati terroristici che inaugurò la “strategia della tensione” nel nostro Paese, commessa il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano. Il Commissario capì subito che si trattava di una nascente guerra allo Stato destinata a durare decenni e, per questo, divenne uno dei nemici pubblici di tutti i gruppi e gruppuscoli eversivi.
Fu diffamato dai comunisti, calunniato e, come da consolidato schema stalinista-leninista, fu alimentata contro di lui una sistematica e capillare campagna di calunnie e di odio che, per certi versi, continua ancora oggi. Alcuni giornali lo accusarono di aver assassinato l’anarchico Giuseppe Pinelli (1928-1969), fermato a Milano dopo la strage di piazza Fontana, chiedendone addirittura l’incriminazione. Senza la benché minima prova e con argomentazioni puramente ideologiche, poi, circa 800 “intellettuali” firmarono un manifesto contro il Commissario. Quasi tutti i gruppi comunisti dell’epoca, in primis “Lotta Continua”, scrissero e auspicarono il suo linciaggio morale ed assassinio politico. Le Forze dell’Ordine e la classe dirigente dell’epoca si dimostrarono timorose, incapaci o deboli nel difenderlo. Il 17 maggio 1972, quindi, con due colpi di pistola sparati alle spalle ed uno alla nuca, Calabresi venne ucciso sotto casa sua mentre come ogni mattina stava recandosi a lavoro. Era disarmato.
Diceva il poeta latino Ovidio: “gli anni se ne vanno come l’acqua che scorre” (“eunt anni more fluentis aquae”). Ne sono passati 43 dal sacrificio della vita del Commissario romano. La sua memoria, però, grazie a Dio resta. E rende ancora fieri di essere Italiani.
Ne vogliamo per concludere ricordare una delle più grandi virtù, la suprema fortezza dimostrata durante i tre anni in cui fu scatenata la campagna di odio, di cui abbiamo accennato, e che durò dal 1970 al 1972. In primo luogo il processo subito. Il 4 luglio 1970 Calabresi fu prosciolto dall’accusa di omicidio dell’anarchico Pinelli, precipitato nel 1969 da una finestra della questura di Milano durante un interrogatorio per la strage di piazza Fontana. «Pinelli si è suicidato», testimoniò il Commissario ma, gran parte della società “impegnata” del tempo e dell’intellighenzia di sinistra non gli credette.
Dopo il proscioglimento in sede giudiziaria, 800 contro uno. Gli intellettuali che firmarono l’appello pubblicato sul settimanale L’Espresso contro il “Commissario torturatore” proclamarono che «Calabresi porta la responsabilità della fine di Pinelli». Ancora oggi, alcune delle “autorevoli” firme di quella “lettera-appello” (cui aderirono, fra gli altri, Norberto Bobbio, Federico Fellini, Liliana Cavani, Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Pier Paolo Pasolini, Giulio Einaudi, e Margherita Hack), sono celebrate nei media e sui libri.
I loro meriti artistici, letterali, culturali e via dicendo non valgono nemmeno un centesimo a fronte dell’amore per la patria e la famiglia, e la purezza di un uomo e padre che volle vivere una esistenza profondamente, integralmente cristiana, come tiene a ricordare don Ennio Innocenti (il quale, tra l’altro, è stato suo amico e confessore).