“Diritti omosessuali, diversità come valore” è il titolo del convegno che si è tenuto mercoledì in Senato. Si arriverà (ce lo auguriamo) a trovare almeno una posizione comune e ragionevole per affrontare con l’equilibrio necessario il tema dei diritti omossessuali anche in Italia senza dover più addirittura proclamare una giornata dedicata a questo tema e tirare per la giacchetta anche il Presidente della Repubblica Mattarella?
Il diritto penale italiano dal Codice Napoleonico del 1860, passando al codice Zanardelli del 1887, al Codice Rocco del 1930 strattona il cosidetto reato di omo ed eterosessualità che entra ed esce dal nostro ordinamento penale. Sta di fatto che la situazione del Codice Rocco, che resta il codice penale tuttora in vigore, non è stata modificata dai decenni successivi. I legislatori hanno continuato a rifiutare l’emanazione di leggi che toccassero il tema dell’omosessualità, sia in senso protettivo che repressivo, trattandola così come questione estranea allo Stato (qui tutti i dettagli), e riconducibile semmai al campo della morale e della religione.
Paradossalmente, questo atteggiamento ha impedito che nel dopoguerra venissero approvate anche in Italia, come invece avvenne in altre nazioni occidentali, leggi che criminalizzassero l’omosessualità, nonostante ci siano stati almeno tre tentativi d’introdurle. Questo atteggiamento tradizionale della classe politica italiana si è trascinato nel governo italiano nella XIII legislatura 1996/ 2001, senza discutere delle unioni civili, oggi PACS, nonché di comprendere l’omosessualità nella legge contro i crimini motivati dall’odio.
Solo nella XIV legislatura (2001-2006) per la prima volta dal 1859 in seguito a una Direttiva UE 2000/78/CE contro le discriminazioni sul lavoro in base all’orientamento sessuale è stata recepita dalla legislazione italiana col decreto legislativo n. 216 del 9 luglio 2003 che, nel testo originario (modificato nel 2008), ribaltava in parte il senso della direttiva. In particolare all’articolo 3, comma 3, del Decreto legislativo nella sua versione originale recitava: «Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima.
Parimenti, non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell’idoneità allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare.» Così la omosessualità per la prima volta viene citata dalle leggi italiane anche se la formulazione della norma NON era corrispondente al testo dell’art 4, 1° c.della direttiva 78/2000 che dice: « Fatto salvo l’articolo 2, paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a uno qualunque dei motivi di cui all’articolo 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato».
Così per la prima volta la norma dettava che che l’orientamento sessuale potesse assumere rilevanza nel valutare se un cittadino era idoneo o meno ad entrare o permanere nelle Forze armate, in quelle di Polizia e nei Vigili del Fuoco. Il Ministero della difesa ha quindi varato un regolamento con il quale ha dichiarato di poter lecitamente trattare, per fini istituzionali, anche i dati sensibili riguardanti la vita sessuale dei dipendenti.). Analoghi regolamenti varati da parte di altri ministeri Interno,Giustizia,Economia, Finanze) dichiarano invece di poter trattare tale tipo di dato nei dipendenti, solo per quanto attiene l’eventuale cambiamento di sesso. Solo nel 2008 con il decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, convertito nella legge 6 giugno 2008, n. 101, è stata abrogata la disposizione che attribuiva rilevanza all’orientamento sessuale nel valutare l’idoneità o meno ad entrare o permanere nelle Forze armate, in quelle di Polizia e nei Vigili del Fuoco.
Dunque, è stato abrogato il secondo periodo del terzo comma dell’art. 3 d.lgs. 216/2003. Inoltre, nel terzo comma dello stesso art. 3 cit. si richiede che la finalità sia legittima. In seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 101 del 2008, il terzo comma dell’art. 3 del d.lgs. 216/2003 risulta così formulato: « Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima. » E’ utile ricordare come la presenza di omosessuali nell’ambito militare e, soprattutto, in quello delle Forze di polizia, sia considerato sovente all’estero del tutto lecito, tanto da avere un’organizzazione sindacale a livello europeo.
Ad oggi l’Italia non permette alle coppie dello stesso sesso di contrarre matrimonio e, non prevedendo alcuna forma di riconoscimento giuridico per le coppie di fatto, non le riconosce neanche in quanto conviventi. Varie associazioni e partiti politici stanno presentando suggerimenti per colmare queste mancanze. Tra le proposte minime c’è l’istituzione del PACS), che attribuirebbe ad una coppia che sottoscrive il patto, eterosessuale o omosessuale, una serie di diritti economici di solidarietà e alcuni diritti civili minori (per esempio il diritto all’eredità in caso di morte del partner, il diritto alla reversibilità della pensione ,, il diritto al subentro nel contratto d’affitto, il diritto di estensione della cittadinanza o di concessione del permesso di soggiorno in caso un membro della coppia sia straniero, agevolazioni fiscali varie, ma non è previsto il diritto all’adozione di figli. Attualmente le coppie dello stesso sesso, in Italia, non godono di alcun riconoscimento giuridico. In 78 Paesi del Mondo l’omosessualità è considerata reato. Nell‘Unione Europea mancano parimenti di legislazioni simili in Slovacchia,Polonia, Grecia,Romania,Bulgaria ,mentre tutti gli altri Paesi prevedono un riconoscimento giuridico; in alcuni casi è previsto anche il matrimonio omosessuale.
Interessanti sentenze degli organi giudiziari si muovono verso un riconoscimento della situazione, la Corte di Cassazione nel 2012 esprimendosi sulla richiesta di una coppia omosessuale sposata all’estero di vedere riconosciuto il matrimonio in Italia, pur negando tale riconoscimento in mancanza di leggi specifiche nello Stato italiano, dichiara:« La coppia omosessuale è “titolare del diritto alla vita familiare” come qualsiasi altra coppia coniugata formata da marito e moglie […]. I componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se secondo la legislazione italiana non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia […] possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza di specifiche situazioni, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata » .
Nell’aprile 2013 la Corte Costituzionale, in occasione di una conferenza straordinaria sulle sue attività e attraverso il Presidente Franco Gallo, richiama alla necessità di legiferare in merito ai diritti delle coppie omosessuali, sostenendo: «Bisogna regolamentare i diritti delle coppie omosessuali nei modi e nei limiti più opportuni”.Bene la politica faccia un passo avanti nella ragionevolezza, prenda anche a riferimento la legge tedesca che è un buon esempio di equilibrio tra valori omosessuali e valori cristiani e della famiglia poiché sui diritti serve sicuramente una norma che tenga conto anche dei costi per riconoscere diritti civili.