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Renzi, il sindacato unico e i troppi strilli

Senza dubbio Matteo Renzi ha commesso un errore di comunicazione auspicando un “sindacato unico” e ha prestato il fianco a facili ironie poiché il termine è equivoco e rimanda a concetti come partito unico, pensiero unico et similia. Forse intendeva dire “sindacato unito” per sottolineare l’esigenza, per la verità necessaria, di un interlocutore autorevole in quanto rappresentativo della grande maggioranza dei lavoratori. Ma a tutto c’è rimedio.

Senza andare molto lontano il governo può favorire il raggiungimento di questo obiettivo salvaguardando il pluralismo e la libertà di associazione sindacale. Infatti può (e dovrebbe) dare piena applicazione legislativa agli articoli 39, 40 e 46 della nostra Costituzione che disciplinano la rappresentanza delle organizzazioni sindacali di lavoratori e imprese, le modalità dell’esercizio del diritto (collettivo) di sciopero, la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende.

Ciò può realizzarsi anche utilizzando il lavoro sin qui fatto dai sindacati e dalle associazioni imprenditoriali che dovrebbe divenire un progetto organico. Non c’è la certezza che la nostra Costituzione sia la “più bella del mondo” ma è sicuro che abbiamo il dovere di dare attuazione alle norme ancora allo stato programmatico. In primo luogo per garantire il principio richiamato dalla Carta secondo cui debbono essere i lavoratori e le imprese a legittimare, ad ogni livello,  il grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e di quelle imprenditoriali.

In questo modo non si realizzerà quell’unità  sindacale organica inutilmente perseguita negli anni Settanta del secolo scorso (non molto dissimile dal sindacato unico) ma la certezza delle norme porterà  almeno l’unità sindacale nelle regole, che è un passo avanti da non sottovalutare.

Walter Galbusera 



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