Stavolta è la Germania a essere isolata sul piano internazionale. Nel corso del vertice del G7 a Dresda, a casa propria, è sembrata sotto assedio sull’ipotesi dell’accordo che si sta profilando sugli aiuti alla Grecia, e non solo dagli Usa.
IL GIOCO DI RIMBORSI E PRESTITI
Il ministro delle Finanze tedesco Schaeuble ha dovuto difendersi dall’accusa di volerlo sabotare: “Non si può accusare il governo tedesco di tutto. Il nuovo governo sta dicendo: vogliamo mantenere l’euro ma non vogliamo più il programma. Le due cose non si incastrano”. Nessuno però vuole correre il rischio di un default della Grecia, ed è per questo che la strategia negoziale di Tsipras sta prevalendo. D’altra parte, c’è un gioco di rimborsi e di prestiti che si rincorrono: la nuova tranche di aiuti da parte dell’ESM serve solo a fare roll-on sulle scadenze dei prestiti del FMI. Ma ad ogni scadenza, di rimborsi e corrispondenti rinnovi, sono legate nuove e più stringenti condizioni: ed Atene ha detto no.
IL RUOLO DELLA BCE
C’è aria di revisionismo. Già nel settembre del 2012, la Bce ha dovuto disarmare i mercati, obbligandoli a deporre la clava dello spread sui titoli pubblici, minacciando di procedere ad acquisti senza limite di importo. Ha poi atteso fino al marzo scorso per attivare il Qe, deciso quando la strategia della deflazione competitiva, il risanamento che si realizza aumentando la disoccupazione ed abbattendo i salari, stava provocando una debt-deflation. Dietro la deflazione dei prezzi al consumo si profilava una nuova recessione, irrecuperabile perché travolge gli attivi bancari. Ne sanno qualcosa i nostri istituti, alle prese con 200 miliardi di euro di crediti ammalorati: perdite potenziali pari al 15% del Pil, che nessuno è in grado di assorbire.
LO SCONTRO CULTURALE FRA ATENE E BERLINO
Sulle trattative tra la Grecia di Tsipras e la Troika, si è sostenuto che la sfida sarebbe stata persa da chi si sarebbe arreso per primo, abbandonando le proprie posizioni per timore delle conseguenze che ne sarebbero derivate. Il costo della austerità contro il rischio del default. Si è sottovalutato che lo scontro era innanzitutto antropologico, culturale: Grecia e Germania sono civiltà diversissime. La prima ha radici precristiane, in cui prevale il senso della colpa: ciascuno è giudice di fronte a se stesso. La legge è dell’uomo: non c’è il Mosè con la tavola delle leggi ed anche gli dei sono soggetti al fato. Non per caso, Solone rimane nella storia per aver condonato i debiti accumulati dai cittadini ateniesi più poveri, per via dei lunghi anni di carestia. Il mancato pagamento del dovuto ai proprietari terrieri li avrebbe ridotti in schiavitù, facendo perdere loro lo status di uomini liberi: una punizione ingiusta. Conoscendo la storia greca, nessuno avrebbe potuto dubitare della fermezza greca nel sostenere la necessità di dare tregua sui debiti. D’altra parte, la civiltà tedesca non è meno determinata: considera il debito come frutto del peccato. Non c’è remissione, né perdono possibile: gli uomini non possono cambiare una legge che li sovrasta.
I RIFLESSI ITALIANI DELLA TRAGEDIA GRECA
Viene da riflettere sulla situazione italiana, sulle vicende degli ultimi anni e sulle prospettive. E’ dilagato il senso del peccato, espiabile: il debito pubblico, divenuto eccessivo a causa di eventi monetari e cirisi internazionali non controllabili, nel 1980, nel 1992 ed ancora nel 2012, è stato rappresentato agli italiani come il sintomo della loro disennatezza, del voler vivere al di sopra delle possibilità. Ci siamo fustigati, correndo in soccorso del prossimo, partecipando a qualsiasi salvataggio, versando fondi a destra e a manca, senza mai tutelarci. La famosa lettera del 5 agosto 2012, a firma Trichet e Draghi, è stata accettata passivamente, senza contrattare la piena tutela del nostro debito pubblico sul mercato. L’anticipazione del pareggio strutturale al 2013 è stata subìta senza chiedere in contropartita i necessari sostegni agli investimenti. E’ stata approvata la direttiva sul bail-in nelle crisi bancarie senza aver messo prima in sicurezza le nostre banche. Tsipras non è Samaras. Aveva ben ragione Fedro: “Chi pecora si fa, il lupo se lo mangia”.