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Referendum irlandese e dintorni. La vera posta in gioco

Il paradosso e’ che in una societa’ come la nostra dove si convola a nozze sempre meno, sono rimasti i preti e gli omosessuali a volersi sposare. In ogni caso, dico fin da subito che voterei no ad un eventuale referendum in Italia sulle nozze gay. Mica per altro, ma per il semplice motivo che gia’ oggi, fatta eccezione per la reversibilita’ della pensione del coniuge defunto a quello in vita e l’adozione di figli, chi convive – e il discorso vale erga omnes – gode esattamente degli stessi diritti di una coppia sposata. Questo per dire che tanto rumore per la legittimazione della gay union si giustifica solo con una ragione ideologica, con la volontà di portare alle estreme conseguenze il processo di emancipazione dell’uomo da Dio tipico della modernità, e la contestuale affermazione che non c’è altro dio al di fuori dell’Uomo (la cui insaziabile fame di sempre nuovi diritti discende di conseguenza). E anche quando – come nel caso della chiesa tedesca – i novatori alla Kasper stendono una coltre di teutonica teologia per nascondere interessi più terra terra (leggasi: esigenze di cassa, come sottolineò il biografo di Wojtyla George Weigel in un memorabile articolo su First Things), siamo lontani anni luce dalle magnifiche sorti e progressive dei sacri principi dell’89 rivoluzionario. Vivessimo poi in un’epoca cristiana, sarei d’accordo anche io che la chiesa non avrebbe nulla da temere, dal punto di vista della tenuta sacramentale, dall’introduzione dei matrimoni gay. Ma siccome cosi non e’, e anzi nella stessa chiesa l’odor di zolfo si fa sempre più acre, temo che lo smottamento totale sarebbe dietro l’angolo. Un bagno d’umilta’, ecco cosa servirebbe. Umiltà deriva da humus, cioè terra, cioè la nostra realtà, le cose come stanno. “L’uomo lascera’ suo padre e suo madre e i due saranno una carne sola”, dice il Genesi. E cos’e’ questo “una carne sola” se non i figli, dove appunto i geni dell’uomo e della donna si uniscono in una nuova, irripetibile persona che ha dell’uno e dell’altra essendo pero’ allo stesso tempo altro da entrambi? Ecco, questa meraviglia che è la facoltà di procreare non sarà mai disponibile per le coppie gay e lesbiche, ciò che rende il matrimonio un affare naturaliter riservato ad una coppia etero. E vogliamo consentire a chi superbamente non vuole accettare i propri limiti, di potersi trastullare con un bambino manco fosse un balocco, magari affittando un utero? Non scherziamo. Oltretutto, l’esito del referendum irlandese sui matrimoni gay è l’ennesima conferma della vichiana eterogenesi dei fini in atto nella galassia Lgbt: quello che un tempo era esaltazione della diversità si capovolge – alla prova dei fatti – nella più piccina delle omologazioni. Ma era tutto scritto: se le parole hanno ancora un senso, diverso si dice etero, mica omo. E anche a guardare le statistiche, la realtà è ben lontana da come viene raccontata, se è vero (come è vero) che nei paesi dove è stato introdotto per legge il matrimonio tra persone dello stesso sesso, la percentuale di matrimoni gay è irrisoria rispetto al totale delle unioni. E anche in valore assoluto, si tratta di numeri tutto sommato modesti. Staremo a vedere se anche l’Irlanda seguirà questo trend. Resta il fatto che la distanza siderale tra propaganda e realtà conferma che obiettivi e interessi delle varie lobby sono altri rispetto a quelli dichiarati. Lo tengano presente quanti, anche nella chiesa, si interrogano e riflettono, in primis l’arcivescovo di Dublino che ha detto che “la chiesa ora deve fare i conti con la realtà”. Per non parlare della giornata di studi organizzata alla Gregoriana nei giorni scorsi, dove una cinquantina tra vescovi, teologi e cardinali di Francia Germania e Svizzera hanno discusso su sesso e famiglia, facendo risuonare sotto le austere volte della pontificia università dei gesuiti frasi su “carezze, baci e coito inteso come venire insieme” o perle di sapienza come la seguente: “con l’allungarsi della vita anche la frontiera della fedeltà si sposta”. Qui non è questione di equità, giustizia e non discriminazione nei confronti di gay e lesbiche. Che se c’è una cosa che oggi va per la maggiore in televisione, sui giornali, al cinema, nella pubblicità, nello spettacolo e nelle iniziative scolastiche culturali e legislative che quotidianamente martellano sull’argomento, quello è proprio il verbo Lgbt. Qui il punto è un altro, e si chiama scontro antropologico, ovvero la battaglia di chi vuole sradicare l’antropologia giudaico-cristiana che ha plasmato la cultura occidentale per soppiantarla con un’altra la cui cifra è il più assoluto individualismo. Questa, e solo questa, è la posta in gioco.



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