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Perché il “buono” (scuola)… sia buono davvero!

“Eppur si muove!”

Non c’è dubbio che – nonostante gli attacchi quotidiani dell’ignoranza e dell’ideologia – l’intelligenza si muove, la ragione dà segnali di vita inequivocabili, i parametri vitali del buon senso sono evidenti. Il genitore che (possibilmente prima di diventare nonno…) vuole vedere riconosciuta e attuata la sua libertà di scelta educativa nei confronti del proprio pargolo, raccoglie in questi giorni 2 incoraggiamenti di razza diversa ma con un comune denominatore: dal Consiglio di Stato e da un serissimo Istituto di ricerche di mercato, Lorien Consulting – Public Affairs, emerge con chiarezza – giuridica e numerica – che gli Italiani ritengono il “buono scuola”, cioè lo strumento per essere liberi, un elemento imprescindibile di civiltà. L’alternativa è la barbarie.

In ordine di tempo, soltanto tre settimana prima dell’illustre conferma giuridica, su “Italia Oggi” del 5 maggio leggo  quanto segue. L’Istituto Lorien Consulting – Public Affairs, specializzato in ricerche internazionali (dunque non un pulcino nella stoppa), rivela deciso che i tre quarti degli italiani concordano su questa affermazione: La libertà di scelta educativa e formativa – alias la possibilità di scegliere diversi percorsi di studio affidandosi a servizi educativi non forniti direttamente dalla scuola pubblica – deve essere un valore garantito dallo Stato. Di conseguenza, non poteva mancare la richiesta di esprimersi sul passo successivo: i tre quarti (abbondanti) di italiani sono favorevoli alla seguente proposta: “Il buono scuola (leggasi: modello Regione Lombardia) deve essere esteso alle famiglie che frequentano scuole di ogni ordine e grado” perché la scelta di un modello educativo differente da quello pubblico statale sia effettiva. La gente sa quello che vuole. Anche il portinaio che paga le tasse lo sa. E chiede di scegliere. Tutto qui.

A conferma di quanto sopra, certamente per vie giuridiche indipendenti (ma il filo rosso della ragione è unico…), la sesta sezione del Consiglio di Stato afferma, con la Sent. 18 maggio 2015, n. 2517,la piena legittimità del “buono scuola” che la Regione Lombardia assicura alle famiglie degli alunni delle scuole paritarie, che sono parte integrante del sistema nazionale di istruzione e concorrono, con le scuole statali e degli enti locali, al perseguimento dell’espansione della offerta formativa”. Il motivo è evidente: ad oggi le famiglie che scelgono le scuole pubbliche statali ricevono il grosso della torta; infatti lo Stato spende per i loro figli, in media, 8000,00 euro all’anno. Per i figli delle pubbliche paritarie, sempre in media, meno di un ventesimo.

Bene: portando il ragionamento all’estremo e “accorpando” idealmente Sondaggio e Sentenza, a mio modesto avviso si apre uno scenario strepitoso per la libertà del cittadino, ben superiore alla generosa (!) offerta di 400 euro in detrazione (pari a 76 euro), prevista dal ddl per le famiglie dei “pubblici paritari” (che si auspica il Senato porti almeno a 4.000 euro)… Sia davvero istituito il buono scuola per tutte le famiglie italiane, pubbliche statali e pubbliche paritarie, numericamente fissato in modo tassativo, avendo lo Stato previamente stabilito il costo standard per alunno. Questo è il punto!

Senza questo fondamentale e granitico passaggio anche il buono scuola ha poco senso: buono scuola rispetto a che cifra? Sarà sempre un’elemosina. Il “buono scuola” deve essere anzitutto “vero”, “autentico”, quindi ancorato strettamente al concetto di “investimento”, nel capitale umano “figli”, delle tasse pagate da tutti i cittadini. Il buono scuola non è altro che la restituzione ragionata, studiata, consolidata al cittadino di quanto egli paga in imposte, allo scopo di valorizzare il capitale umano costituito dai bambini ragazzi giovani, capitale che ha un valore conosciuto e quindi un “costo standard” da onorare per la sua piena realizzazione nel riconoscimento della libertà di scelta educativa della famiglia.

Investire in capitale umano significa avere a cuore il futuro dell’Italia. Investire significa a) rendersi conto dei bisogni reali, non di quelli artefatti, o peggio pilotati; b) avere consapevolezza delle risorse attuali, tenendo conto della necessità di onorare, da parte dello Stato, eventuali commesse a credito dei privati; c) considerare i benefici maggiori in rapporto al margine di rischio, d) azzerare gli sprechi, o costi cattivi, in vista dell’investimento. L’Italia, a questo proposito, è il paese che spende di più e peggio in Europa, fondamentalmente a causa di carenza di educazione, formazione, cultura autentiche. Qui si inserisce la chiave di volta fra i principi sopra enunciati e gli aspetti concreti che ne seguiranno. I risultati saranno: a) una buona e necessaria concorrenza fra le scuole pubbliche del Servizio Nazionale di Istruzione secondo la L 62/2000 (statali e paritarie), sotto lo sguardo garante dello Stato; b) l’innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano con la naturale fine dei diplomifici e delle scuole che non fanno onore ad un SNI d’eccellenza quale l’Italia deve perseguire per i propri cittadini, c) la valorizzazione dei docenti e il riconoscimento del merito, come risorsa insostituibile per la scuola e la società, 4) l’abbassamento dei costi e la destinazione dell’economia ad altri scopi.

Si innesca così un circolo virtuoso che rompe il meccanismo dei tagli, conseguenti a sempre minori risorse (perché sprecate) che producono a loro volta altro debito pubblico. Il Welfare non può sostenere altri costi; non a caso il Principio di Sussidiarietà, oltre ad avere una valenza etica è anzitutto un principio economico prioritario. Europa docet.

Se si ripartirà da questo punto senza cedere alla tentazione di una sistema scolastico statalista, la partita è ancora aperta…. “ne va la vita!” (Manzoni).

Ne riparliamo.



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