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Dalla Persia a Philip Glass

Il reportage di Buttafuoco da Teheran, su Il Fatto, si può ascrivere alla cosiddetta letteratura di mondo.
Certo, un conto è parlare d’arte, di storia e, nell’annodarsi dei fili e dei rimandi, finire in Persia, possibilmente quella del passato, del Tigri e dell’Eufrate. Tanto, quella non è Iran.
Altra cosa è andare a Teheran e raccontarne lo spaccato sociale, economico e politico costruendo una rete di rapporti tra l’Iran e il tutto il resto. Con il resto del mondo, con la sua storia fatta di guerre, di religioni, di crocevia di interessi e di bellezza. Perché rappresentare l’Iran attraverso un linguaggio di forme e di colori che fanno parte della capacità cognitiva di un qualunque occidentale (i riferimenti alla pop art e ai grattacieli, ad esempio), restituisce all’Iran un posto nell’immaginario collettivo occidentale. Che è molto di più di quanto possa fare una risoluzione dell’Onu.
L’Iran non ha avuto la fortuna di avere una star di Hollywood che si è convertita all’islam sciita. Il racconto dell’attualità, poi, quello su cui si basa il mondo occidentale (CNN) e fa affari con lui, non include l’Iran. Neanche la temperatura nelle previsioni del tempo ci prendono a Teheran.
Certo, le parole di Ahmadinejhad su Israele non sono solo retorica occidentale, ed è ovvio che l’applicazione di alcune regole che la religione sciita impone, specie alla donna, non sono un’invenzione occidentale. Ciononostante è evidente che, se si applicasse lo stesso metro di giudizio, allora l’Arabia Saudita dovrebbe essere considerato il più canaglia degli Stati. E invece l’Occidente si prostra di fronte a questi emiri, cosiddetti moderati, quelli di Ryadh e Doha, per affari: costruzioni, finanza, petrolio. Quando arriva il tennis, è fatta: Dubai, Doha. I top ten, guai a saltarne uno. Sono tra i tornei con i montepremi più alti, infatti.
Buttafuoco, dunque, se ne va in giro per Teheran e, attraverso la sua personalissima lente, riprende quella realtà mostrandoci come quel mondo, nella sua esclusione forzata, ha costruito – necessariamente – una identità fortissima e ha anche costruito rapporti economici con quello che per noi è l’altra parte di mondo: la Cina, la Corea, la Russia.
Il problema è che l’ordine mondiale ha bisogno di un baricentro e di nemici. Non avere nemici è, infatti, peggio che averne troppi. La caduta del muro di Berlino, per dire, non ha prodotto solo buone conseguenze. E, se chi ha contribuito a farlo cadere è stato fatto Santo, non sono certo beati coloro che ne stanno subendo le conseguenze.
L’Iran raccontato da Buttafuoco ha voglia di accedere alla modernità, di uscire dall’isolamento, di respirare aria occidentale, di ammorbidirsi nell’applicazione del dettato imposto delle regole religiose, ma, per adesso, l’unico sistema di riferimento comune al nostro rimane quello delle stelle fisse. Quello dell’intuizione estetica. E mentre nell’immaginario scorrono la volta stellata di una moschea con l’oro delle stelle che punge il turchino della notte di luna, l’oroscopo di Iskandar, la cosmogonia di Kandinskij, l’estasi di De Chirico, il disco di Nebra e le grotte di Lascaux, in sottofondo risuonano le note di Kepler di Philip Glass.


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