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Turchia, ecco come l’economia influisce sulle elezioni

erdogan

Le elezioni di domenica in Turchia  riguardano il Parlamento, ma rappresentano una prova di forza per il presidente Recep Tayyip Erdogan. Se il suo partito, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp), otterrà la maggioranza assoluta, Erdogan potrà portare avanti la desiderata riforma della Costituzione. Gli ultimi sondaggi indicano però che il Partito Democratico dei Popoli (Hdp) potrebbe conquistare 62 seggi, togliendo questa possibilità al presidente turco.

ZERO CRESCITA

Il principale avversario del governo in carica non è tuttavia la forza politica avversaria, ma l’economia. Da quando è arrivato al potere nel 2002, la vigorosa crescita economica è stato il cavallo di battaglia del partito islamista di Erdogan. Ora, però, sta perdendo forza: il primo trimestre del 2015 ha registrato una crescita pari allo zero.

Dopo 10 anni di crescita del Pil con percentuali dal 4 al 10%, nel 2004 cominciò la discesa: 2,9% e un avvicinamento allo zero nel 2015. Secondo Erdal Saglam, economista turco intervistato dall’agenzia Efe, “l’Akp guadagnava molti voti con i suoi successi economici. Ma negli ultimi due anni, la crescita è diminuita e la disoccupazione è salita, e questo si riflette sull’andamento della campagna elettorale”.

CRISI GLOBALE

All’epoca – spiega ancora Saglam – l’economia mondiale andava bene e quello trainava anche la crescita turca. Ora le condizioni sono peggiorate in tutto il globo e l’Akp non ha preso le misure necessarie per evitare effetti negativi in Turchia”.

SPESA PUBBLICA

Tra le riforme proposte dal governo turco c’è l’allargamento dell’assistenza sanitaria a tutta la popolazione e un aumento della spesa pubblica, che nel 2013 è rimasta ferma. Si tratta di mosse per conquistare la classe operaia, offrendo al tempo stesso maggiore protezione sociale ai cittadini. Per l’economista Mustafa Sönmez, la cifra investita in questo settore resta sotto la soglia degli altri Paesi, che destinano il 21% del Pil alle spese sociali. Sönmez ha scritto inoltre sul suo blog che Erdogan “vende come un favore quello che per i turchi dovrebbe essere un diritto”.

LE PROMESSE DELL’OPPOSIZIONE

Il partito socialdemocratico Partito Repubblicano del Popolo (Chp) ha promesso invece l’aumento dello stipendio minimo da 950 lire turche (330 euro) a 1500 (520 euro), oltre alla costruzione in Anatolia di un grande centro logistico e tecnologico, alimentato con energie rinnovabili. Il primo ministro turco, Ahmet Davutoglu, ha detto che la prima proposta è “irrealizzabile”, mentre la seconda è “un’idea copiata” al governo di Erdogan.

Erdogan ha stanziato grandi cifre nello sviluppo di infrastrutture come autostrade e aeroporti. Gli appalti, però, sono andati secondo molti commentatori a poche aziende “amiche” del governo.

MIRACOLO FRAGILE 

Per l’economista turco Emre Deliveli, il “miracolo economico” della Turchia è fragile, perché si basa sul capitale straniero, attratto dai vantaggiosi tassi d’interesse: “L’economia ha sofferto un duro colpo perché la Turchia esporta lo stesso volume di dollari e di euro, ma paga due terzi delle importazioni in dollari”. La Banca centrale di Ankara ha scelto di mantenere i tassi d’interesse alti, al 7%, per controllare l’inflazione che oggi oscilla tra il 6% e il 10%, ma negli anni ‘90 era arrivata al 60%. Una decisione che si scontra con molte teorie finanziarie, oltre che con la politica economica del vice primo ministro Ali Babacan.



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