Perché un’istituzione finanziaria come la Banca mondiale, o un’importante organizzazione come le Nazioni Unite, dovrebbe fare affidamento sulla religione per assicurare il raggiungimento degli obiettivi in materia di sviluppo sostenibile? Negli ultimi anni, in realtà, si sta assistendo a una sorta di riconoscimento del contributo che la religione fornisce agli individui, alle società e, in particolare, a coloro che lottano per emanciparsi dalle forme di povertà estrema.
Secondo il presidente della Banca mondiale Jim Kim, nonostante le rosee previsioni di crescita per i prossimi 15 anni, non si riuscirà a sradicare la piaga della povertà. Attualmente, il 14,5% della popolazione mondiale versa in condizioni di povertà estrema; percentuale che si ridurrà fino al 7% entro il 2030. Con la collaborazione delle organizzazioni religiose, però, sarebbe possibile raggiungere persino il 3%.
Nonostante l’ampio contributo che forniscono, le organizzazioni religiose non pretendono di essere ciò che non sono. Dalla prospettiva cattolica, le associazioni religiose non rappresentano entità economiche o politiche; non sono né al pari della Banca mondiale né delle Nazioni Unite né tanto meno al pari delle organizzazioni non governative laiche. La loro forza non risiede nelle risorse materiali o nelle competenze scientifiche – che sono indiscutibilmente fondamentali nella lotta alla povertà – ma nella forza spirituale e nella compassione morale, nel loro essere di supporto alle società per il riconoscimento e il rispetto dell’intrinseca dignità di ogni singolo essere umano.
Sebbene ispirate da missioni spirituali, le organizzazioni religiose si occupano anche, e soprattutto, del benessere umano. Giacché il progresso fa parte dei loro obiettivi peculiari, oltre ai luoghi di culto, costruiscono comunità, ospedali, scuole e università. Localmente radicati, toccano con mano le differenti forme di povertà e di ineguaglianza, guadagnando credibilità e acquisendo specifiche competenze in merito. La loro presenza in loco, inoltre, favorisce il dialogo fra la gente comune.
Le organizzazioni religiose combattono fattivamente per l’abolizione della povertà estrema e la promozione di società giuste e pacifiche. Nel tentare di allontanare le persone dalla povertà, le organizzazioni religiose guardano innanzitutto alle cause strutturali della povertà, dell’ingiustizia e dell’esclusione. Papa Francesco, ad esempio, ha esortato l’umanità a respingere il sistema finanziario che regola quello stesso sistema che produce ineguaglianze e che non ridistribuisce ricchezza. Come narra il libro Religione, la dimensione mancante della politica, la religione deve riacquisire la propria legittima posizione nelle attività di diplomazia internazionale e, soprattutto, nei conflitti risolutivi.
Come non citare, in tale ambito, Samuel Huntington e il suo Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale?: “Noi siamo qui perché crediamo nel dialogo piuttosto che nello scontro”. Il libro spiega proprio come i leader religiosi e i credenti giochino ruoli fondamentali nella lotta per la pace e per la giustizia difendendo i diritti umani, accogliendo gli emarginati, abolendo le varie forme di sfruttamento e di violenza, costruendo nuovi metodi per raggiungere la stabilità in ambiti cruciali per lo sviluppo a lungo termine. Purtroppo, però, vi sono anche lampanti eccezioni. Continuano a essere registrati, infatti, violenti casi che mostrano l’esistenza di un lato oscuro anche nella religione, quando la smania del credo finisce per violare i diritti umani. Lo sviluppo non può che fiorire in contesti pacifici. Le valutazioni del Millenium development goal (Mdg) ha dimostrato la diretta relazione fra i due: sono stati proprio i Paesi in conflitto a rallentare il Mdg e molti hanno subìto una vera e propria regressione. La promozione delle azioni dei corpi religiosi e la feconda cooperazione tra religioni è essenziale per il mantenimento di pace e giustizia e per la realizzazione di società responsabili e inclusive, senza le quali lo sviluppo sostenibile non sarebbe possibile.
La forza della religione risiede proprio nella capacità di stimolare azioni concrete, creare rapporti con gli individui e con le intere comunità, nonché di radunare le persone affinché lavorino insieme per qualcosa di più grande di loro stessi. Il lavoro di ristrutturazione delle società e delle istituzioni in favore dello sviluppo sostenibile richiede, però, pazienza e perseveranza; la ristrutturazione non può che avvenire gradualmente. La strada sarà in discesa solo quando le persone sapranno trascendere l’egoismo, la vendetta e la paura che quando gli altri vengono aiutati, vi sia qualcosa da perdere piuttosto che da guadagnare.
Papa Francesco ha spiegato che il dialogo interreligioso, quello vero, non va visto come una conversazione, ma come uno scambio reciproco. Esso non è altro che la costruzione di ponti piuttosto che di muri; risiede nella convinzione che gli altri abbiano qualcosa di prezioso da dirci, enfatizzando le cose in comune piuttosto che le differenze, includendo invece che escludendo. Non bisogna ignorare le differenze, perché sono importanti, ma bisogna cercare di comprenderle e trattare le persone che le posseggono con rispetto. Il dialogo interreligoso è il dialogo della vita in cui le differenti parti devono trovare il coraggio di incontrare gli altri così come sono, riconoscere i valori che hanno in comune e lavorare insieme per condividere quegli stessi valori con il resto della società. Fra questi valori vi è la convinzione che la fede religiosa possa essere un plus per la società e che possa rappresentare la soluzione piuttosto che il problema. Come papa Francesco afferma: “Il dialogo interreligioso è la condizione necessaria per la pace nel mondo”.
di Bernardito Auza, Nunzio apostolico. Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite