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Lavoro, chi massacra le politiche di pari opportunità

Il nostro inarrestabile contributo ai programmi di governo oggi si sofferma sugli ultimi tre decreti attuativi del Jobs act  del quale seguiamo puntualmente le evoluzioni. Il consiglio dei Ministri ha licenziato in via definitiva in attuazione della legge n. 183 del 2014 il decreto recante misure per la conciliazione delle esigenze di cura, vita e di lavoro; e il testo organico semplificato delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni; e 4 decreti legislativi rimangono ancora in esame preliminare sempre in attuazione della legge n. 183 del 2014, recanti disposizioni in materia di: razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale; riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro; riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive; razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed imprese ed altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità.

Ritengo importante soffermarmi prima di tutto sul decreto definitivo per la conciliazione delle esigenze di cura, vita e di lavoro. In estrema sintesi il decreto in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183, interviene  prevalentemente, sul testo unico a tutela della maternità (n° 151 del 26 marzo 2001 e successive integrazioni e modifiche), e reca misure volte a sostenere le cure parentali e a tutelare in particolare le madri lavoratrici.

Il decreto interviene sul congedo obbligatorio di maternità, al fine di rendere più flessibile la possibilità di fruirne in casi particolari come quelli di parto prematuro o di ricovero del neonato. Il decreto prevede un’estensione massima dell’arco temporale di fruibilità del congedo parentale dagli attuali 8 anni di vita del bambino a 12. Quello parzialmente retribuito (30%) viene portato dai 3 anni di età-di oggi- a 6 anni di età del bambino; per le famiglie meno abbienti tale beneficio può arrivare sino ad 8 anni. Analoga previsione viene introdotta per i casi di adozione o di affidamento. 

In materia di congedi di paternità, viene estesa a tutte le categorie di lavoratori, e quindi non solo per i lavoratori dipendenti come attualmente previsto, la possibilità di usufruire del congedo da parte del padre nei casi in cui la madre sia impossibilitata a fruirne per motivi naturali o contingenti.

Sono inoltre state introdotte norme volte a tutelare la genitorialità in caso di adozioni e affidamenti prevedendo estensioni di tutele già previste per i genitori naturali. Importante l’estensione dell’istituto della automaticità delle prestazioni (ovvero l’erogazione dell’indennità di maternità anche in caso di mancato versamento dei relativi contributi) anche ai lavoratori e alle lavoratrici iscritti alla gestione separata di cui alla legge n. 335/95 non iscritti ad altre forme obbligatorie.

Il decreto contiene due disposizioni innovative in materia di telelavoro e di donne vittime di violenza di genere. La norma sul telelavoro prevede benefici per i datori di lavoro privato che vi facciano ricorso per venire incontro  alle esigenze di cure parentali dei loro dipendenti. Un’altra norma introduce il congedo per le donne vittime di violenza di genere ed inserite in percorsi di protezione debitamente certificati.

Si prevede la possibilità per le lavoratrici dipendenti di datore di lavoro pubblico o privato, con esclusione del lavoro domestico, nonché per le lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata o continuativa di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi, per motivi legati a tali percorsi, garantendo loro la retribuzione e gli altri istituti connessi.

Queste misure – che scattano il giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta, quindi a brevissimo – si applicano per ora “in via sperimentale per il solo anno 2015 e per le sole giornate di astensione riconosciute nell’anno medesimo”. Dunque per godere di questi benefici anche per gli anni successivi servono altri decreti legislativi con la relativa copertura finanziaria (104 milioni gli oneri valutati per il 2015).

Intanto, accogliendo “i generosi suggerimenti” dei pareri parlamentari, il governo si impegna a valutare “la possibilità” anche “di finanziare servizi di baby sitting e asili pubblici in prossimità dei luoghi di lavoro o di residenza della lavoratrice o, in alternativa, l’incentivazione di servizi innovativi quali il ‘nido di famiglia’ o la ‘tagesmutter'”.

Dunque mancano pezzi importanti che invece erano previsti nella stesura della delega, su cui torniamo successivamente e comunque corredate da concrete valutazioni. Noi abbiamo ben segnalato sulla base della nostra esperienza che il divario occupazionale di genere resta tra i più elevati d’Europa, per non parlare del tasso di occupazione femminile in sé, sempre saldamente al di sotto della media europea. Avevamo sperato che il dato ispirasse il legislatore anche perché comunque il Rapporto della Commissione Europea ci taccia nel 2014 di essere un classic male-breadwinner model e ci punta addosso il dito per un’elevata incidenza del sistema informale di cura (prevalentemente assolto da familiari) e ci segnala  pure che il gender gap è addirittura aumentato e le donne ( comunque italiane) stando ai Rapporti Istat Aprile 2015 soffrono una più elevata instabilità occupazionale, con una maggiore incidenza del lavoro a termine e una minore probabilità  di stabilizzazione del rapporto di lavoro, e, come ci dicono i dati di Alma Laurea sono più svantaggiate sul piano salariale e sul piano della coerenza tra lavoro e livello di istruzione posseduto( sempre conseguito più velocemente e con votazioni più alte dei ragazzi).

Quindi se alle nostre donne continuiamo ad assicurare precarietà, bassi livelli retributivi, scarsa qualificazione dell’impiego rispetto al proprio livello di istruzione, non meravigliamoci se poi ci sentiamo dire che loro spesso sono demoralizzate per i forti disincentivo a cercare o mantenere un lavoro.

Poi vero è che il Governo Renzi si “è impegnato” ma sarà sempre molto tardi perché, i costi (economici, sociali e umani) per così dire di esternalizzazione dei servizi di cura (asilo, baby-sitter, badante) possono giungere a superare i benefici (economici, sociali e umani) di un lavoro.

Poi se i legislatori si fossero almeno coordinati tra di loro almeno non avremmo avuto due pesi e due misure e la tanta agognata unificazione delle norme tra lavoro pubblico e lavoro privato nonché autonomo, almeno in materia di maternità e congedi avrebbe potuto uniformarsi da subito. Invece esiste una parallela delega (l’art. 11 del ddl S 1577) in tema di conciliazione vita/lavoro nella pubblica amministrazione al quale si sovrappone quanto previsto nel cosiddetto Jobs Act, ove si prevede una estensione dei principi al settore pubblico.

Ma perché la maternità e i congedi  non sono comunque  per favorire la conciliazione nel lavoro pubblico e privato? Ma perché sono inseriti in due sedi diverse e sono forse  trattati da diverse tutele e da commissioni parlamentari diverse? E dove è finita l’introduzione delle Tax credit prevista in delega? Era assolutamente necessaria quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito complessivo della donna lavoratrice.

E  l’ «armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico»: come sarà svolta l’armonizzazione, dunque, e non abolizione, la quale finirebbe solo per indebolire la condizione delle famiglie monoreddito. La questione delle detrazioni  per il coniuge a carico è ancora oggi  un problema serio, spesso sottovalutato: il meccanismo della detrazione costituisce un involontario incentivo al lavoro nero delle donne, soprattutto nell’ambiente lavorativo domestico difficilmente sottoposto a controlli ispettivi come le collaboratrici domestiche e badanti. Aggiungendo infatti il vantaggio della detrazione a favore del coniuge alla scarsa o inesistente incidenza del versamento contributivo sulla prestazione previdenziale (per esempio, in ragione della storia contributiva pregressa della lavoratrice), si viene a creare l’anacronistica situazione che il lavoro nero può convenire, non solo al datore di lavoro, ma anche al lavoratore, in questo caso alla lavoratrice.

Anche sul tema della incentivazione della negoziazione collettiva volta a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività in chiave conciliativa, bisogna stare con i piedi ben piantati per terra, perché una cosa sono gli accordi sul welfare aziendale e una realtà  le politiche di flessibilità dei tempi nell’ottica della conciliazione vita/lavoro che  con estrema difficoltà sono riuscite ad essere sviluppati.

Perché noi siamo convinte che l’obiettivo della  realizzazione  della conciliazione non passa solo attraverso la contrattazione ma  attraverso  anche una  tecnica di regolazione sociale. Da una parte l’incentivazione alle aziende (sempre più modesto è il Capitolo assegnato al premio di produttività nelle leggi finanziarie e un 10% sarà veramente pochissimo!) dall’altra  una preliminare verifica delle esperienze sperimentali ancora in corso (che non possono cancellarsi all’improvviso), anche a livello contrattuale, con la necessità di portare a sistema un’esperienza varia e composita, maturata anche livello regionale, con la necessità di dotare il sistema della conciliazione di un solido quadro valoriale di riferimento, imprescindibile sia per il lavoro pubblico, sia per il lavoro privato,  non separati.

In particolare, perché la delega risulti credibile dovrebbe prevedere che ogni disposizione approvata in materia di lavoro (la restante arte della delega contenuta nel d.d.l. 1428 e successivi decreti delegati) sia accompagnata da una specifica analisi d’impatto di genere alla luce dell’obbligo di gender mainstreaming che grava su ogni livello regolativo dal 2010 come dettato dalla UE.

Sono molti i dubbi che la parte del decreto solleva a proposito della possibilità di cessione di congedi parentali o ferie a prescindere dalle condivisibili istanze di solidarietà tra colleghi che evoca poiché, lascia in ombra le modalità concrete di funzionamento del sistema di donazione di tempo ai genitori che ne hanno bisogno per assistere il figlio, svalorizzando quegli strumenti della contrattazione collettiva già esistenti in Italia che potevano, al limite, essere rivitalizzati dall’aggiunta di un espresso scambio interno a finalità sociali, sul modello allargato delle banche delle ore  magari con specifica incentivazione.

Così come è francamente dubbiosa la scelta di  ridurre e da quindici a cinque giorni il periodo minimo di preavviso per l’esercizio del diritto al congedo parentale da comunicare al datore di lavoro – ferma restando l’ipotesi (già vigente) che i contratti collettivi contemplino un termine più ampio – e si introduce, per l’ipotesi di fruizione su base oraria, un termine minimo di preavviso di due giorni. Come faranno ad organizzarsi in azienda, Dio li dovrà aiutare molto nella programmazione.

Quanto poi il riferimento esclusivo al telelavoro, avrebbe potuto contenere un’apertura maggiore, facendo riferimento in generale a misure di flessibilità organizzativa, in modo che all’interno potessero esservi ricomprese anche ipotesi, quali lo smart working o lavoro agile, che  non ancora normate e comunque staccate,quando invece si stanno affermando a livello aziendale, incentivando per tale via l’attuazione di soluzioni innovative, in ottica sussidiaria e migliorativa.

Le misure sin qui citate sono attuate in via sperimentale solo per il 2015, mentre si dispone una sperimentazione triennale (2016-2018), per la previsione secondo cui , come sopra si accennava ,una quota pari al 10% del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello è destinata alla promozione della conciliazione vita professionale-vita privata, in virtù dei criteri  e delle modalità di utilizzo che verranno definiti con decreto ministeriale, il quale conterrà anche ulteriori azioni e modalità di intervento in materia, pure attraverso l’adozione di linee guida e modelli finalizzati a favorire la stipula di contratti collettivi aziendali. Troppi decreti attuativi legati alla realizzazione del decreto di cui stiamo parlando.

In ultima analisi, la questione poi che lascia interrogativi mostruosi è legata ad un altro decreto “sospeso” di cui siamo particolarmente curiosi ed aspettiamo “il parto”. Si Tratta del decreto ancora in esame preliminare di Razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed imprese ed altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità. Ecco in particolare le altre disposizioni in materia di Pari Opportunità. I principali interventi riguardano:

– la revisione dell’ ambito territoriale di riferimento delle consigliere di parità provinciali in vista della soppressione delle province;

– la modifica della composizione e delle competenze del Comitato nazionale di parità

– la modifica delle competenze e della procedura di designazione e nomina delle consigliere, semplificando l’iter di nomina e superando le incertezze dovute alla precedente formulazione;

– l’introduzione del principio secondo cui per le consigliere di parità non trova applicazione lo spoil system di cui all’art. 6, comma 1, della legge n. 145/2002;

– la ridistribuzione fra gli enti interessati degli oneri per il sostegno alle attività delle consigliere;

– l’introduzione della Conferenza nazionale delle consigliere di parità, per rafforzare e accrescere l’efficacia della loro azione, e consentire lo scambio di informazioni, esperienze e buone prassi. La Conferenza sostituisce la Rete delle consigliere e opera senza oneri per la finanza pubblica.

Ecco come si fa a massacrare le politiche di Pari Opportunità che hanno una loro ragione di essere nell’ambito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali:  non possono essere solo lasciate ad una Presidenza del Consiglio dei Ministri che poco e male se ne sta occupando( avendone la Delega per legge) con una pupilla renziana, di scarsa competenza. Stiamo perdendo tutta quell’esperienza che si è sviluppata sia a livello nazionale che internazionale in materia giuslavoristica e antidiscriminatoria ,dopo aver tagliato tutte le risorse anche umane  al ministero del lavoro, con una deriva politica esclusivamente omosessuale e trans gender la questione della parità in mano All’UNAR Ufficio Antidiscriminazioni razziali che gode di risorse e favore della Presidenza del Consiglio. La politica sta veramente affondando in un mare di feroce cannibalismo sulla pelle delle donne. Complici e colpevolmente consapevoli e impavide altre donne che ricoprono incarichi di Governo.



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