Abitare a Bologna, una volta, significava stare in un posto davvero all’avanguardia, significava conoscere e partecipare all’eccellenza italiana. Bastava dire “vivo a Bologna” per suscitare lo sguardo ammirato dei più attenti estimatori della democrazia progressista.
A quella visione figlia di un passato glorioso, oggi se ne oppone, un’altra: Bologna è lo specchio del declino della politica e del territorio italiano. Non sono la sola però che si ribella a questa rassegnazione. Sicuramente l’assenza di politici di rango è un altro segno del tempo. Un tempo che non è semplicemente “Il numero del movimento secondo il prima e il poi” come sosteneva Aristotele nella Fisica, ma è un succedersi di avvenimenti a velocità variabile.
E l’agogica del tempo delle relazioni tra politica e cittadini. In pochissimi anni c’è stata anche a Bologna una accelerazione inaspettata, si è passati dalla partecipazione alla indifferenza, al fastidio e al rifiuto di qualsiasi confronto, anche di merito, con la cittadinanza. Ci sono tramonti e tramonti, ma quella dell’anima diessina e post comunista è un tramonto inarrestabile, con una resa dei conti al loro interno che non tiene conto di noi, gli altri, i cittadini che non sono pidiessini.
Correnti a non finire nascono tutti i giorni e la ditta si è frantumata in tante piccole e inutili aziendine. Escluso Bersani, irriducibile che ci pensa davvero a salvare il salvabile, dagli altri arrivano solo veti incrociati e manovre d’interdizione. Gelosie e rancori ormai più che ventennali. E l’eterno duello D’Alema-Veltroni è solo l’epifenomeno di una tale situazione.
E la “malattia” appare contagiosa, se solo si guarda al Vietnam in cui si è rapidissimamente trasformato il campo dell’opposizione interna a Renzi: cuperliani, bersaniani, civatiani, dalemiani, eccetera, eccetera, eccetera. Non c’è dubbio il giovane e arrogante Matteo Renzi ha spesso approfittato delle divisioni interne alla minoranza del Pd.
Stavolta, invece, qualche timore comincia ad averlo. E se la frustrazione degli ex ds si tramutasse in nugoli di franchi tiratori? O ancora: e se di fronte al nuovo smacco prevalesse il solito muoia Sansone con tutti i filistei col quale due anni fa fu affondato Romano Prodi.
Siamo al tramonto degli ex ds , sulla Falce e sul Martello, e sulla Quercia e tutto il resto calerà il buio di una notte fredda e cupa, ma noi a Bologna,che non siamo neanche pi diessini e renziani non ci stiamo a morire. A noi che tra un anno andiamo alle elezioni per il nuovo primo cittadino, questo sbranare le persone come stanno facendo con Merola attuale sindaco, non ci va.
Non sopportiamo che il partito di maggioranza che ha radici buone a Bologna si sia trasformato e mondanizzato e la politica bolognese sia solo rappresentata da un pd frantumato e con pochi fedeli adepti (di corrente). La politica a Bologna è diventata “ professioni” in cui quello che conta non è più il servizio alla comunità ma il futuro prossimo dei singoli dirigenti.
In ambito politico in tutta Italia è semplicemente sufficiente leggere le cronache giudiziarie , stracolme di scandali che attestano la totale e purtroppo trasversale commistione tra affari e politica e i vantaggi legati alla appartenenza a quelle che si chiamano cordate spesso in conflitto tra loro anche nello stesso partito.
Fulgide carriere dei principali leaders, passaggi preparati con cura e spesso avvenuti senza alcuna discontinuità. Il colpo basso che il renzismo in queste ultime elezioni ha avuto non ha comunque regalato al centro destra italiano e bolognese centralità. Non ci sono leader centrodestristi all’orizzonte (né Salvini, né altri credibili, né tanto meno i pentastellati dimaiesti).
Dunque Renzi è senza alternative e deve pensare così come Merola a Bologna di trapiantare un po’ di sano riformismo nel governo nazionale e locale, con buonsenso e cercando alleati che hanno a cuore il bene comune, e in fretta, perché questo scenario politico è al termine.