L’azione o l’inazione, dipende da come la si guarda, del Fmi rappresenta la più evidente e stridente distonia tra i mezzi ed i fini di un modello socioculturale arrivato al capolinea ed al fallimento prima sociale che economico. Il Fmi nato in un periodo storico che provava a rimettere insieme i cocci di società distrutte dalla guerra ha finito per dimenticare le finalità per le quali era stato costituito. In mancanza, forse voluta, di una ridefinizione del ruolo in un contesto monetario profondamente cambiato ha finito per essere un problema e non una soluzione ai problemi per i quali era stato destinato, arrivando paradossalmente a complicarli. Le posizioni recentemente assunte, si veda Grecia o “i sussurri e grida“ sull’Ucraina, mostrano quanto sia lontano dalla capacità di proporre soluzioni ai problemi sia sociali che monetari prigioniero di una rigido modello culturale, fallito nei fatti, che antepone la moneta alla società.
Paradossalmente a riprova di quanto detto si sono salvate dal default le banche di Wall Street ( 11.000 mld /$ portati al debito sovrano Usa facendolo impennare e bloccando le azioni sul welfare per ridurre i conflitti sociali ormai esplosivi ), poi condannate dal Dipartimento di Stato Usa per comportamenti fraudolenti (troppo grandi per fallire), ma si ignora il fatto che un popolo, quello greco, che ha un pil come Parigi debba essere messo sul lastrico per un debito di 320 mld / euro; troppo piccolo per non fallire? Non si riesce più a capire quale sia il suo DNA: cos’è oggi l’amletico Fmi? Proviamo a ricostruire la storia ed i fatti per dare una possibile interpretazione della sua attuale inadeguatezza .
Il Fmi venne costituito a Bretton Woods poco prima della fine della guerra e formalmente istituito il 27 dicembre 1945 quando i primi 29 Stati membri tutti importanti, ora sono 188 (subordinati all’oligarchia dominante), firmarono l’accordo istitutivo. Vedendo le sue finalità istituzionali si può cominciare a capire quanto il suo agire sia lontano da quelle linee guida.
Se guardiamo alla storia non è passato tanto tempo da allora ma è come se quel tempo sia un’eternità; negli ultimi 50 anni il mondo è cambiato nello spirito che ha guidato i grandi sognatori del dopoguerra e progressivamente si è andato affermando una cultura razionale che ha fatto della finanza e del neoliberismo uno scopo assoluto rivestito falsamente di santità. La finanza si è staccata dall’economia reale ed è diventata uno strumento di esercizio di un potere che sta sopra gli altri ed ha un fine interno ad esso e certamente non coincidente con il bene comune.
Un ruolo determinante nell’affermazione della finanza razionale è stato svolto dal Fmi che si è staccato dagli indirizzi fondamentali a cui il suo statuto l’aveva costituito infatti anche la sua linea è diventata di tipo neoliberista lasciando quella keynesiana per la quale era stato pensato.
Per non dimenticare, gli scopi “assoluti“ elencati come premessa dello statuto erano:
I) Promuovere la “cooperazione“ monetaria internazionale … con consultazioni e “collaborazione”
II) Facilitare l’espansione e la crescita “equilibrata“ del commercio internazionale .. e contribuire a mantenere elevati livelli di “occupazione e di reddito “e sviluppare le risorse di tutti i Paesi
III) Promuovere la “stabilità dei cambi … evitare svalutazioni competitive dei tassi di cambio“
IV) ”Aiutare“ un sistema di pagamenti, eliminare le restrizioni valutarie che limitano il commercio
V) Assicurare agli stati membri la disponibilità temporanea di risorse .. ed “evitare di ricorrere a misure che rischierebbero di compromettere la prosperità nazionale o internazionale“
VI) Conformemente a quanto sopra ”ridurre la durata e l’ampiezza degli squilibri“
In tutte le sue politiche e decisioni il Fmi si ispira agli scopi enunciati in questo articolo.
Il confronto con la situazione attuale è in stridente contraddizione nei fatti tra statuto ed operatività del Fmi. La definizione delle ricordate linee guida venne concordata in un lungo negoziato a Bretton Woods a cui partecipò Keynes che prima di essere economista era un grande scienziato sociale, non ne ha sbagliata una a differenza dei moderni economisti che non ne indovinano una. Il problema di fondo era uno scontro tra la cultura europea e quella statunitense. La cultura europea era il frutto di secoli in cui si erano formate le utopie ma anche consumate le tragedie e formata la consapevolezza di dovere coniugare il senso sociale con l’idea di uno sviluppo sostenibile ma non garantito se non su un principio di equilibri politici, sociale, economici e finanziari. Il senso profondo di quella cultura era la definizione di un tavolo con più gambe che tutte più o meno devono avere la stessa altezza altrimenti, prima o poi, il tavolo cade con tutto quello che sta sopra.
Questo modello culturale era fondato sull’idea che l’IMF dovesse essere un fondo di cooperazione al quale i singoli stati potevano accedere per mantenere in vita l’economia e la società, in un certo senso su quest’idea prese vita il piano Marshall e la rinuncia ai debiti di guerra dei paesi vincitori verso la Germania, ad eccezione della Russia, la memoria è sempre corta ed interessata. Il principio di Keynes trovava fondamento nella sua esperienza dapprima negli errori del trattato di Versailles alla fine della prima guerra mondiale che portarono la Germania all’iperinflazione della Repubblica di Weimar e di fatto alla seconda guerra mondiale per cancellare i torti subiti. Keynes seguì l’opera del grande economista sociale Shacht Hjalmart, che con una politica fondata sull’economia reale e su una sofisticata formulazione del baratto si sganciò dal monetarismo che soffocava il Paese. Keynes sperimentò la stessa cura con l’America della grande depressione di Roosevelt salvandola da una finanza che era diventata giugulatoria, la Storia gli aveva insegnato molto.
La Storia invece degli Usa aveva contribuito ad affidare il futuro allo sviluppo tecnico considerato, in sé stesso, un successo assoluto, ed il negoziatore americano, Harry Dexter White, pensava il Fmi come una banca che finanziasse gli stati a seconda dei bisogni. La differenza riflette la differente storia dei due paesi Usa e UK, i primi vantavano importanti crediti e riserve auree mentre i secondi avevano conosciuto i rischi sociali derivanti dalla disoccupazione. La storia, se dimenticata, presenta sempre il conto e così il dissesto sociale e finanziario degli Usa rappresenta una sorta di Nemesi della supponenza e della mancanza di memoria; è la previdenza che ci distingue dagli animali e la sua mancanza è sempre frutto di fatali calamità.
Il “boom“ economico del dopoguerra soffiò forte sull’economia reale ridisegnando un mondo che era sembrato irrecuperabile, furono anni di creatività, fantasia e speranza ma i cicli storici, oggi, sono molto più veloci e quel tempo di illusione, di fatto, finì agli inizi degli anni settanta quando, unilateralmente gli Usa dichiararono finiti gli accordi di Bretton Woods ed il sistema “gold change standard“. Così siamo entrati nel “tempo della finanza“ che oggi ci sta strangolando .Il processo di finanziarizzazione dell’economia reale e della sua deificazione acritica è cominciato in quegli anni quando Nixon dichiarò lo sganciamento del dollaro dalla parità aurea – 28 dollari stampabili ogni grammo d’oro – perché i creditori degli Usa non fidandosi della massa monetaria del dollaro volevano essere pagati in oro riducendo all’osso le riserve auree del paese, come sta succedendo oggi.
Di fatto la Fed, sempre lei, rifiutandosi di riscattare in oro i dollari posseduti da altre banche centrali stracciò l’ordine monetario stabilito a Bretton Wod nel 1944; di colpo il mondo si ritrovò ostaggio di un regime di tassi di cambi fluttuanti che cambiò radicalmente il sistema monetario basato sul dollaro in un gigantesco sacro tempio della speculazione i cui sacerdoti venivano ammantati di sacralità infallibile. L’operazione del ”petrodollaro“ inaugurò così la progressiva sudditanza, anche del Fmi, ad un sapere fondato non su ipotesi scientifiche corrette; un approccio non scientifico l’avrebbe definito F. von Hayek nel suo discorso di accettazione del Nobel nel 1974, ma subito in modo acritico. L’abbandono della parità aurea ha, di fatto, come denuncia il Papa nella sua enciclica “Laudato si’” spostato i punto di equilibrio dei fondamentali – economia, società e politica – alle banche centrali ed alle logiche monetarie in mano alle oligarchie della finanza che sono sovranazionali e gli equilibri di potere sono saltati completamente.
Da quel momento la dinamica economica, finanziaria e sociale è totalmente cambiata, mentre l’economia reale non subiva particolari deviazioni fino all’ondata della delocalizzazione ai primi anni del secolo la finanza e la moneta andavano assumendo un ruolo crescente a tutti i livelli. I cicli delle crisi finanziarie da allora, come un’onda dello “tsunami“ finanziario, hanno cominciato a diventare sempre più profonde e lunghe: abbiamo avuto gli shock petroliferi, il black Monday, la bolla internet ,il Cile ,il Messico ( i tequila bond ), l’Argentina ( i tango bond ), le crisi delle “tigri asiatiche“ (Giappone, Thailandia, Malesia, Corea del sud, Hong Kong…), l’attacco al rublo, il default della LTCM (Long-Term Capital Management dei nobel Merton e Sholes premiati nel 1997 con il nobel per la “razionalità dei derivati”) per finire ai sub-prime, ai derivati ai cds e tutto il magazzino magico dei burattinai che spacciano per oro il nulla e la finanza come “pietra filosofale“.
Tutto il dramma della finanza sacrale non serve a nulla così, di fronte all’immane disastro, abbiamo i profeti di “onnipotenza“; il ”venerabile“ Lucas, Nobel nel 1995 per i mercati razionali nel 2003 all’American Economic Association dichiara: ”La moderna politica macroeconomica ha risolto il problema del ciclo economico e l’ha ridotto ad un banale fastidio“. Non contento al Congresso nel 2007 afferma: ”In questo momento, tuttavia, pare probabile che l’impatto dei problemi del mercato dei sub-prime sull’economia in generale e sui mercati finanziari sarà contenuto“, come Paulson che garantiva: “Il mercato dei sub-prime non rappresenta un pericolo per l’economia nel suo complesso“. Greenspan nel 1999 avrebbe totalmente deregolamentato i derivati e levato l’argine alla speculazione finanziaria abrogando il “Glass Steagall Act“ fatto nel 1932 da Roosevelt per legare le mani alla finanza.
La crisi che viviamo non è stata determinata da eventi naturali o imprevedibili ma da uomini come questi che con l’autorevolezza delle loro posizioni hanno legittimato un inganno globale; possiamo provare a domandarci che responsabilità hanno questi uomini verso il degrado morale e sociale che abbiamo di fronte? Questi uomini di fatto hanno dettato la cultura e le regole del Fmi che l’ha sempre subita in una sudditanza ingiustificabile per il suo ruolo di garante di principi fondanti sul rispetto dell’umano.
Tutto questo inondare della finanza e della liquidità fine a sé stessa ha finito per staccare definitivamente il Fmi dalla realtà e farlo planare in un mondo asettico dominato dalla moneta diventandone ostaggio. Nel momento in cui il modello neoliberista completamente asimmetrico alle idee collaborative keynesiane si afferma come verità incontrovertibile, il Fmi si stacca da quell’idea iniziale e comincia a dettare le regole di un modello senza preoccuparsi minimamente di metterlo in discussione, il mercato senza regole diventa un dogma e la soluzione migliore per lo sviluppo economico dei paesi più poveri. Si promuove una ricetta uguale per tutti anche a paesi con storie e culture profondamente diverse creando un marasma culturale in cui non si riesce più a trovare il bandolo della matassa.
Il Fmi è diventato vittima e carnefice allo stesso tempo incapace di capire la sua finalità, Strauss Kahn aveva provato il 19 aprile 2011 dicendolo alla Brooking Institution di Washington ma non gli hanno lasciato nemmeno un mese di tempo per provarci perché l’11 maggio preso dall’areo per Parigi veniva condotto in cella per un reato che il 21 agosto dello stesso anno sarebbe stato dichiarato inesistente. Oggi il Fmi sembra un’istituzione più orientata alla sua sopravvivenza che a quella degli stati membri più disagiati e così il principio di collaborazione ha lasciato lo spazio al principio di utilità, spesso solo personale ma anche in posizione di sudditanza verso l’oligarchia finanziaria; le sua azioni sono spesso legate a quelle della Fed.
Le linee guida indicate ma dimenticate erano scritte per un sistema economico che affondava le sue radici nell’economia reale, ma a partire dalla caduta del muro di Berlino gli interessi della finanza, della politica ed anche dell’Accademia hanno forzato un cambiamento della realtà e della genesi dell’economia che è stata fatta diventare un gioco matematico e piegata alla finanza ed ad un monetarismo senza limiti tecnici né morali; il neoliberismo spinto all’eccesso è diventato dominante e puro potere. Il nuovo secolo si è presentato con un disastro di immani proporzioni che non sappiamo ancora se e come finirà; i prodotti tossici creati da matematici, fisici nucleari, statistici hanno allontanato il loro mondo di formule dal mondo reale e contribuito a giustificare mezzi che sono diventati di oppressione. Il Fmi non ha posto resistenza alla dirompente invasione di questo modello culturale e si è allontanato dalle radici di salvaguardia dell’economia reale per il quale era stato costituito avvallando operazioni finalizzate a forme di destabilizzazione sociale e politica; di questo esercizio di potere la Grecia è stata la prima vittima – bastonane uno per educare tutti – ed ora siamo a domandarci come finirà. Ma prima o poi i problemi ed i disegni di fondo di questo “Armageddon“ dovranno essere portati al centro del dibattito globale e sociale.
Sembra che il Fmi come nelle Metamorfosi di Ovidio faccia la fine di Narciso che si innamora della sua figura, punito in questo senso dalla Nemesi per avere ignorato l’amore della ninfa Eco ( la giustizia sociale, diremmo oggi, ndr) viene condannato ad innamorarsi della sua stessa immagine ma non riuscendo mai a stringerla ed a toccarla si lascia morire. Ma le Naiadi e le Driadi trovarono al suo posto un fiore a cui diedero il suo nome. Chissà se dopo queste traversie anche il Fmi non possa subire una metamorfosi trasformandosi in un fiore di pace e di collaborazione e non di guerra e provare a trovare nel principio di collaborazione una sua nuova vita e ritrovarsi nella vera missione per cui era stato pensato in quel lontano 1944 in cui i disastri delle guerre sembravano portare l’uomo alla saggezza ma anche questo sembra rimanere solo un mito.