Articolo tratto da Nota Diplomatica
In ogni lingua del mondo il Mar Caspio è per l’appunto un “mare”: tranne nella
diplomazia, dove la questione di cos’è esattamente non è solo aperta, è importante. Se invece è un “lago”, e non è irragionevole ritenerlo tale, la legge internazionale determinerebbe una distribuzione molto diversa delle risorse – soprattutto petrolifere – che si celano sotto le sue acque.
Il Caspio si trova all’incrocio tra l’Europa e l’Asia. Il suo controllo è conteso tra cinque Paesi litorali di una certa importanza: la Russia, l’Iran, il Kazakistan, il Turkmenistan e l’Azerbaijan.
In sintesi, la Russia asserisce di avere il controllo sulla maggior parte delle sue acque in base a vecchi trattati che lo descrivono come un “lago interno” all’epoca delle firme da dividere tra l’Urss (di cui gli “stan” allora facevano parte) e l’Iran. Teheran oggi pretende invece che venga diviso in cinque parti uguali (versione stretta “lago”), mentre gli altri tre Paesi vorrebbero che la divisione avvenisse in base alla lunghezza delle rispettive linee costiere.
Come mare invece, il Caspio rientrerebbe nelle previsioni del trattato Onu sul diritto marino (UNICLOS) e la decisione verrebbe in parte predeterminata, riducendo gli spazi di manovra agli interessati diretti, una prospettiva che ovviamente non li entusiasma.
Quel “Mare” è “mare” da tempi immemori, soprattutto a causa delle sue dimensioni: è più grande di altri specchi d’acqua – il Mare del Nord, il Baltico – le cui definizioni non sono in dubbio. Al tempo stesso, ha tutte le caratteristiche di un lago. È completamente circondato da terre emerse, senza uno sbocco naturale su altri mari e senza fiumi in uscita. Le sue acque sono salate al sud, ma al nord, dove riceve il Volga, tendono piuttosto al dolce.
Vedete un po’ voi, in altre parole. La vera complicazione discende da cosa c’è sotto: forse 79 miliardi di barili di greggio e sette trilioni di metri cubi di gas. Non dimentichiamo poi che è da lì che viene pure il caviale, sempre meno però. Ora come ora anche lo sfruttamento degli storioni è gestito, come si dice in diplomazia, “alla carlona”…