Grazie all’autorizzazione di Class editori e dell’autore, pubblichiamo l’analisi di Paolo Savona uscito sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi
Ora che la frittata europea è fatta, non resta che decidere come mangiarla. Fin dall’inizio era chiaro che le due parti non avrebbero potuto trovare un compromesso, trovandosi stretti dalla volontà dei rispettivi elettorati. Di fronte a pregiudizi, e non a un realismo pragmatico, gli accordi non sono possibili. Schäuble e Merkel non potevano accettare di essere disposti a caricarsi i debiti altrui, un punto sul quale gli elettori tedeschi non transigono; e Tsipras e Varoufakis non potevano ratificare la rimborsabilità dei debiti, né accettare ulteriori sacrifici, perché l’elettorato greco non era disposto a sopportarne l’onere e, con il NO a schiacciante maggioranza, ha preferito correre i rischi di un ritorno alla dracma, con le inevitabili conseguenze che i sacrifici li avrebbero comunque dovuti fare. Hollande ha fatto il pesce in barile, ben sapendo che i francesi da tempo hanno respinto l’idea di un’unione politica facendo ricorso, essi per primi, a un referendum che si concluse come quello greco con un NO. Renzi non ha colto l’occasione per concorrere a causare uno shock salutare per indurre al cambiamento i modi d’essere dell’UE, come afferma di voler fare. Nonostante l’azione terroristica verbale condotta dagli organi e da molti membri dell’Unione e le reazioni pesanti dei mercati finanziari e delle agenzie di rating, i greci hanno resistito e hanno ratificato la scelta del loro premier, forti della realtà della loro attuale situazione: la Grecia non può rimborsare i debiti alle scadenze incombenti e la maggioranza della popolazione è allo spasimo. Essi si sono assunti con dignità la responsabilità di una scelta democratica che può avere risvolti traumatici per loro e per l’Europa; ma con ciò non possono cancellare di essersi assunti la responsabilità di aver mandato al potere i partiti che li hanno condotti a questa situazione. Se democrazia deve essere, lo deve essere sempre: si devono assumere la responsabilità di collaborare per trovare una soluzione. Poiché l’UE ha a sua volta la responsabilità d’averli accolti nell’eurosistema, non è accettabile che la Grecia – e con lei altri paesi-membri – cada nel baratro della disoccupazione e della conseguente povertà. Ma ormai la frittata è fatta, non si può ritornare alle uova, e quindi occorre trangugiarsela qualsiasi sia il suo sapore.
Da quanto si legge, la tentazione di ricominciare dal punto in cui la trattativa è stata lasciata è forte, per giunta con più stizza da parte europea per il verdetto e tracotanza da parte greca per la vittoria; sarebbe un vero dramma che alimenterebbe i movimenti anti euro o anti Europa e potrebbe portare l’UE alle soglie del collasso, ma anche definitivamente superarle. Ma allora che si dovrebbe fare? Invece di concentrarsi nuovamente sul caso greco, l’UE dovrebbe puntare a “legiferare” erga omnes, ossia aprire una trattativa per delineare un accordo europeo valido per tutti su come trattare casi simili. Solo passando dal caso particolare a quello generale, la situazione può essere resa più gestibile.
Ciò può essere fatto mettendo innanzi tutto in sicurezza banche e debito greco per il tempo necessario a raggiungere un accordo generale. Poi agire dal lato della domanda aggregata e dell’occupazione collegando la politica di quantitative easing della BCE alla realizzazione del Piano Juncker, avvalendosi della collaborazione della BEI. Credo che la BCE sarebbe più tutelata di quanto non sia finanziare le banche greche o acquistare debiti sovrani in difficoltà. Si manderebbe il messaggio che l’UE intende muoversi seriamente in direzione dell’attuazione dello scopo dei suoi Trattati, pace e benessere, recuperando parte della credibilità perduta con le politiche di rigore fiscale di tipo puramente contabile e le riforme per esportare di più; questa fissazione contrasta con le reali necessità dell’UE e del mondo, dato che ci troviamo in una situazione di eccesso di risparmio inutilizzato concentrato in Olanda e Germania, di dimensione più vergognosa e meno giustificabile di quella cinese. Infine si crei un fondo europeo, da affidare in gestione alla BCE, che accolga gli eccessi di indebitamento pubblico oltre il 60% – se questa è la percentuale di sostenibilità che si vuole confermare, nonostante le obiezioni mosse dagli economisti – rendendo possibile l’applicazione del pareggio di bilancio previsto dal fiscal compact e negoziando con ciascun paese il rimborso del debito nei tempi e con i ritmi permessi dalle condizioni in cui versa ciascun paese. Questa sarebbe la vera unione fiscale, non quella di continuare a fingere che la sovranità fiscale resti in mano ai paesi membri, ma sia esercitabile solo sotto autorizzazione e controllo degli organi dell’UE, una soluzione che perpetua i difetti che stanno portando l’euro e l’Unione al collasso.
Si afferma che ciò incoraggerebbe i paesi adusi al lassismo finanziario pubblico di continuare a farlo. Oltre a obiettare che il rigore ricercato dall’UE non ha sortito l’effetto di calmierare i comportamenti dei paesi membri nell’indebitarsi oltre la soglia concordata – creando per giunta deflazione, che di per se aumenta il rapporto debito pubblico/PIL – la soluzione indicata darebbe alla Commissione la legittimazione di intervenire senza espropriare a priori la sovranità fiscale dei Paesi membri a favore della burocrazia europea sotto la spinta dei mercati. Vi è una profonda differenza rispetto a ciò che il Rapporto dei 5 Presidenti propone, che indica di voler procedere nella direzione che ha irritato i cittadini europei e portato al potere Tsipras, creando condizioni difficili da governare un po’ da per tutto e rischiando di abbandonare il sogno di un’Europa unita.