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Grecia come il Venezuela?

Agia Paraskevi, periferia di Atene, Grecia. L’entrata del supermercato Spar è affollata. All’apertura i clienti si buttano sugli scaffali del latte per bambini, pasta, riso e carta igienica come in una corsa contro il tempo. Il manager del supermercato, Stelios Xepapadeas, ha raccontato al quotidiano La Razón che da ieri i greci sono impegnati negli acquisti dei prodotti di prima necessità per timore alla scarsità, che ha dato i primi segni prima del referendum dopo la chiusura delle banche. Stelios sostiene che, almeno nel suo supermercato, dalla prossima settimana mancheranno altri prodotti. Lo stesso dice Nikos, incaricato di un altro supermercato chiamato Sklavenitis. Nelle farmacie greche cominciano a mancare medicine: se prima arrivavano 10 scatole, oggi ne arrivano quattro. I laboratori non possono fare i pagamenti ai fornitori perché molti si fanno attraverso le banche, che sono chiuse. Molti anziani non possono pagare le medicine perché non hanno soldi contanti.

Maracaibo, stato petrolifero del Zulia, Venezuela. La fila per entrare al supermercato Central Madeirense è lunga quattro strade. Chi fa la fila non sa cosa troverà negli scaffali, ma la fa lo stesso: “Se c’è gente vuole dire che qualcosa si compra”, spiega chi vive lì. Dopo cinque ore si riesce ad entrare e la scelta si limita al dentifricio e l’olio di girasole. Da quando il governo del presidente Nicolás Maduro ha imposto il “prezzo giusto” sui prodotti di prima necessità, come risposta disperata all’inflazione del 70%, le imprese hanno smesso di importare e hanno chiuso la produzione. Trovare latte, carta igienica, riso, pasta o deodoranti è una missione quasi impossibile. Le poche quantità che vengono messe sul mercato spariscono subito, anche per colpa delle mafie che le rivendono nella frontiera con la Colombia. Nelle farmacie è normale essere assalito da chi chiede il favore di prendere un farmaco per la diabete o la tensione. Qualunque sia la ricetta del medico, si ha diritto all’acquisto di un prodotto ogni 15 giorni regolato con l’ultimo numero della carta di identità, e la solidarietà è l’unico mezzo per rifornirsi.

Così distanti ma così simili la Grecia e il Venezuela. Il Paese ellenico sembra destinato alla stessa crisi (con sfumature diverse) del Paese sudamericano. Con un debito di 10.000 milioni di dollari da pagare nel 2015, lo Stato venezuelano rischia il default perché non ha risorse economiche. Ha pagato alla prima scadenza di questo anno un miliardo, ma poi chissà… Tutta l’economia si basa sul reddito petrolifero e, con il barile del greggio a 52 dollari (dopo mesi a 35 dollari), la cassa dello Stato è semi-vuota. Secondo la Bbc, dopo la Spagna (con 14 crisi finanziarie), il secondo Paese che più è “saltato” economicamente è il Venezuela con 11 default.

Nel dibattito post-referendum, la crisi venezuelana è stata affiancata a quella greca. In un articolo intitolato “Ammorbidire l’accordo greco” pubblicato sul New York Times il giornalista Roger Cohen ha detto che la situazione ellenica ricorda altre, come quella venezuelana. La Grecia, infatti, ha chiesto soldi alla Troika e ora con un referendum sostiene di non dovere (o potere) rispettare l’intesa. Il voto non cancella il debito né nasconde la responsabilità di chi lo ha accumulato, ma secondo l’editorialista la “Troika deve accettare il voto greco, nonostante i difetti, e allentare i termini dell’accordo”. In caso contrario, assicura, “potrebbe nascere in Europa una Repubblica Bolivariana come il Venezuela”. Per la firma del giornale americano, qualora fosse allo sbando, la Grecia si trasformerebbe in “un Venezuela che inveisce contro i tedeschi come Hugo Chávez faceva con gli ‘imperialisti americani’, responsabili di tutti i mali del Paese… Solo che questo Venezuela sarà nel Mediterraneo… con il presidente russo Vladimir Putin che cercherà di attrarre la Grecia nella sua orbita”.

Ma per la giornalista Beatriz De Majo del quotidiano venezuelano El Nacional c’è una differenza sostanziale che avvantaggia i greci: “Come la Grecia, Spagna e Portogallo, abbiamo speso più soldi di quelli che abbiamo a disposizione e ci siamo indebitati, ignorando che per pagare potevamo gestire responsabilmente le finanze statali… Non abbiamo fondi nello Stato per pagare gli impegni, ma neanche una Troika che ci aiuti. Non ci resta che fare come il Portogallo che, con l’acqua al collo per i debiti, ha deciso di cambiare rotta. Austerità e tagli interni hanno permesso di iniziare una crescita con un’agenda che comincia a dare i primi frutti ed speranza a lungo termine”.



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