Chi non ha mai avuto a che fare con la cultura greca moderna avrà pensato che il discorso di Tsipras prima del referendum, con i suoi richiami alla libertà e all’audacia, fosse solo frutto dell’ingenua retorica di un ragazzo non ancora cresciuto, legato all’idea romantica della lotta del debole verso l’oppressore.
Al di là, però, della caduta di stile di un primo ministro che accusa di terrorismo psicologico l’Europa, il discorso di Tsipras ha messo in campo le intime convinzioni del greco comune, quelle che gli vengono inculcate sin dalla più tenera età da un sistema scolastico, dove i bambini sfilano con il vestito tradizionale (che poi è in verità quello albanese) e inneggiano ancora agli eroi briganti della Rivoluzione del 1821.
Perché nell’opinione del greco medio il pericolo non è mai cessato. Il greco di strada vive in un perenne stato di assedio emotivo, convinto di far parte di una nazione senza amici (“una nazione senza fratelli”, tuonava il presidente greco Christos Sartzetakis) eppur ammirato e invidiato da tutti.
La Grecia, il centro del mondo (insegnano nelle scuole), dalla cui lingua deriva ogni altra lingua (sempre nelle scuole) e il cui popolo ha inventato tutto. Almeno tutto ciò che è degno. Tsipras, permeato come tutti di questo sentimento nazionalistico che non ha colore politico, ha solo dato all’immaginario nemico, incarnato un tempo dal turco invasore, il volto e le sembianze di Angela Merkel, condendo il tutto con versi da antologia scolastica, come “la libertà vuole virtù e audacia” di Kalvos o la bella immagine del “popolo che lotta senza spade né pallottole” di Ritsos.
Tsipras ha così riproposto l’eterno conflitto tra greco e barbaro, tra libero e oppressore, rileggendo la storia del popolo ellenico come una storia di “NO” che va da quello dello spartano Leonida a Serse a quello del dittatore Metaxàs a Mussolini. (Quest’ultimo NO viene ricordato ogni 28 ottobre con una fastosa e assai dispendiosa parata militare, con tanto di volo di elicotteri e caccia sul cielo dell’Acropoli).
Oggi si aggiunge il NO di Alexis Tsipras alla Merkel. Non c’è stato greco che ascoltando quel discorso non abbia sentito il fremito e l’orgoglio di quando da bambino cantava l’inno nazionale davanti alla statua di uno dei tanti eroi della Rivoluzione, che fosse Makriyannis col suo turbante o Kolokothronis con suo bizzarro elmo crinito. Ciascuno in cuor suo ha rivissuto il sogno e l’orgoglio della Rivoluzione. Quel discorso che agli orecchi di un europeo mediamente colto sarà suonato banalmente retorico, è stato per i greci una chiamata alle armi, una chiamata a essere greci. Più concreto e meno retorico sia il discorso di ringraziamento per la vittoria del “no”, sia quello tenuto l’8 luglio all’Europarlamento, non fosse per quel “laboratorio sperimentale di austerità” che sarebbe diventata la Grecia.
Un’altra convinzione radicata nel greco medio: la Grecia è il “laboratorio politico” dell’Europa. Tsipras, però, assicura di non essere uno di quei politici che crede che “per tutte le sofferenze del paese sono colpevoli gli stranieri cattivi”. Ma a quel punto bisognava uscire dal sogno e tornare alla realtà. E in pochi ormai credono sarà un buon risveglio.