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Ferrara, Sallusti o Berlusconi. Chi ha ragione su Merkel e Schäuble?

Formato alla scuola di sociologia trentina (proff. Acquaviva, Ardigò, Barbano, Braga, Meschieri, Pasquinelli, Tentori..) ho ben chiara la distinzione tra “ideologia e utopia”, che fu uno dei temi approfonditi da Karl Mannheim, per cui trovo nell’articolo di martedì 14 luglio di Giuliano Ferrara su “il Foglio”, la dimostrazione del suo tortuoso percorso culturale dall’ideologismo marxista della giovinezza all’odierno iper realismo della fissità dei dati della “realtà effettuale”.

Un percorso che porta “l’elefantino” a esaltare l’irrimediabile e indistruttibile evidenza di un’Europa a trazione pressoché solitaria tedesca, senza alcuna possibilità di altro pensiero critico, cioè proprio “utopico” in senso mannheimiano, che non sia quello socialmente condizionato della realtà dei dati e dei fatti.

In tale contesto, è evidente che hanno avuto ragione a suo tempo, come sostiene Ferrara: i Monti, le Fornero, il Renzi e il Berlusconi del patto del Nazareno o di quello con Marchionne, in quanto fedeli esecutori, anche se irrilevanti interpreti, delle decisioni della Kanzlerin Merkel e dei suoi accoliti, mentre sono tutti riconducibili all’ovile degli irresponsabili quegli amici di Tsipras e di Syriza che Ferrara ironicamente descrive come: “la Brigata Kalimera”.

Poco importa se il Cavaliere double face è lo stesso che, come confessa dopo qualche anno il suo amico Sallusti, nel 2011 si oppose strenuamente alle pressioni della Merkel con l’appoggio di Sarkozy, presenti Obama e Zapatero, alla svendita dell’Italia attraverso il prestito forzoso della troika, con il suo conseguente disarcionamento dalla guida del governo, grazie al “golpe blanco” di Napolitano, che ora Ferrara vorrebbe “beatificare in vita”.

Seguendo il ragionamento, questo sì “ideologico”, perché socialmente condizionato di Ferrara, e rinunciando a qualsiasi considerazione critica sui dati della realtà, si rinuncia a ogni possibilità di visione alternativa e a disegnare qualche progetto di cambiamento politico istituzionale a quell’ircocervo dell’Europa venutosi a creare dopo lo “stupido” trattato di Maastricht (definizione del buon Prodi) e con molti dei successivi regolamenti attuativi, alcuni dei quali, come quello del fiscal compact, palesemente illegittimi e dunque nulli.

E’ evidente, infatti, che restando alla mera constatazione della realtà dei fatti, a Tsipras e compagni, al di là del  forzato tentativo del referendum popolare, quale ultima ciambella di salvataggio per rafforzare il suo ruolo nella trattativa ad armi impari con l’Europa, non rimaneva, come non gli è rimasto, altra arma di quella dell’accettazione delle condizioni iugulatorie imposte alla Grecia dall’Unione Europea.

Resta il fatto altrettanto reale che, un’Europa come quella uscita dai trattati di Maastricht, Amsterdam e Lisbona, e ancor peggio strutturata da alcuni regolamenti attuativi di quei trattati, non solo non funziona, se non a vantaggio di soli alcuni, ma è destinata a sfasciarsi.

Fummo  a suo tempo tra gli entusiastici sostenitori dell’idea dell’unità europea, anche accontentandoci del primo passo dell’unificazione monetaria. Con l’unità attorno all’euro ci avevano, tuttavia, promesso più concorrenza e riduzione dei prezzi, più occupazione e crescita; constatiamo, invece, un dominio oligopolistico dei Paesi più forti del nord, con la Germania che la fa da padrone, crollo dell’occupazione e decrescita generalizzata in tutta l’Europa.

E’ evidente che il gioco per ora l’ha vinto la Merkel, ma la partita rimane tremendamente aperta.

All’orizzonte, se non ci impegniamo per un cambiamento strutturale dell’Unione europea, con una rinegoziazione dei trattati, dopo il voto a breve della Spagna e del referendum inglese, con un euro lasciato alla sola capacità manovriera di Draghi, senza potere di prestatore di ultima istanza e con il permanere delle profonde diseconomie fiscali tra i Paesi dell’eurozona, non potremo che assistere alla fine di una costruzione del tutto inefficace e  inefficiente.

E non sarà solo una partita persa sul piano dell’unità monetaria, ma con drammatiche ricadute su quello della geopolitica dell’Europa nei nuovi equilibri mondiali.

Ettore Bonalberti

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