Articolo tratto da Nota Diplomatica
È da 43 anni che l’uomo non torna sulla Luna. Gli Usa hanno sospeso i voli dello “Shuttle” dal 2011 e, per ora almeno, non hanno più alcun modo di mandare un astronauta nello spazio, se non su un vettore russo in partenza dal cosmodromo di Bajkonur, nel Kazakistan. I russi invece non hanno dove mandare i loro cosmonauti se non ci sono gli americani. Mettiamo che le due parti si amano sempre meno e che c’è ormai un unico motivo operativo per spedire qualcuno in orbita: per curare l’operazione dell’International Space Station (ISS), ultimo avamposto umano oltre la superficie terrestre.
L’ISS orbita la Terra da 15 anni ed è un esempio – ormai fuori dal tempo – di una diversa era di speranza e di collaborazione pacifica tra i grandi Paesi. L’equipaggio permanente consiste attualmente di tre uomini: due russi, Gennady Padalka e Mikhail Kornienko, e l’americano Scott Kelly. Dovrebbero rientrare dallo spazio nel marzo del 2016.
La stazione stessa, il più grande oggetto artificiale in orbita attorno al pianeta, è una sorta di gabbia di tralicci, di pannelli solari e di capsule abitative, il tutto con le dimensioni esterne di un campo di calcio.
È visibile a occhio nudo da quaggiù se uno sa dove guardare. Viene mantenuta ad un’orbita bassa compresa tra i 330 km e i 435 km di altitudine e gira attorno alla Terra 15,5 volte al giorno. È abitata in via continuativa dal 2000 e si stima molto approssimativamente che sia costata circa 100 miliardi di dollari.
È anche una baracca inqualificabile, un’improbabile giungla di moduli americani connessi a elementi russi frammisti con ancora altre capsule di origine giapponese o europea. I russi dominano il trasporto da e per la stazione, gli americani la sua gestione tecnica. Secondo gli esperti, è molto dubbio che un singolo paese possa mai riuscire a tenerla in operazione da solo.
Al momento, l’intento è di far proseguire la missione dell’ISS fino al 2020, poi si vedrà… Le probabilità sono che dopo quella data l’avventura umana della permanenza nello spazio potrà dirsi conclusa. Poco plausibili progetti di turismo spaziale a parte, via ai robot se è proprio necessario mandare qualcuno.
Il vice primo ministro russo Dmitry Rogozin ha dichiarato l’anno scorso che il suo Paese non vede il senso a continuare nel trasporto dei passeggeri all’ISS in quanto per la Roskosmos, l’ente spaziale russo, non è un’attività redditizia. ”Guadagniamo molto poco. Non vediamo l’interesse commerciale nell’andare avanti“, ha detto, “È previsto che il progetto duri fino al 2020 e rispetteremo gli impegni. Per quanto riguarda invece la proposta di prolungarlo fino al 2024, abbiamo dei gravi dubbi”.
A marzo la Russia ha annunciato che la Roskosmos e la NASA si sarebbero accordate per collaborare allo sviluppo di una nuova stazione orbitante per sostituire quella attuale, troppo vetusta. Per tutta risposta la NASA ha fatto uscire una sua nota ringraziando i russi per il loro “interesse” in una futura cooperazione spaziale, mancando vistosamente di confermare i contenuti dell’annuncio di Mosca…
Il primo americano nello spazio, John Glenn, usava rispondere a chi gli chiedeva cos’aveva provato durante il countdown: “Mi sentivo come uno che stava per lanciarsi nello spazio seduto su due milioni di singoli componenti, tutti fabbricati da fornitori che avevano vinto gare d’appalto al massimo ribasso”.
Ora astronauti e cosmonauti hanno una nuova preoccupazione: se partono, verrà qualcuno a prenderli?