La Comunità internazionale ha sempre avuto un occhio di riguardo per i debiti della Germania. Per ben tre volte, nel corso di appena un secolo, Berlino è riuscita ad ottenere straordinari vantaggi facendo valere il suo straordinario rilievo per la stabilità continentale.
Tutto comincia con le Riparazioni di guerra stabilite nel Trattato di Versailles del 1919. La principale creditrice della Germania era la Francia, che avrebbe preferito tutt’altra soluzione: la sua frontiera spostata ad est, lungo il Reno. Era una proposta che faceva inorridire gli Inglesi perché riportava alla mente l’espansione napoleonica, contro cui avevano mobilitato ben sette coalizioni prima di riuscire a riportare l’Europa alla Restaurazione delle antiche dinastie con il Congresso di Vienna. Anche il Presidente americano Wilson non poteva accettare questa ipotesi, perché derogava al suo principio ispiratore, secondo cui la pace doveva fondarsi sulla costruzione di Stati nazionali: così come l’Impero Austroungarico andava dissolto, era già troppo aver concesso all’Italia il Sud Tirolo, di lingua tedesca. Fiume fu strappata con forza. Dissolto, e così punito, l’Impero Austroungarico, la penalizzazione della Germania fu quella del pagamento di consistenti Riparazioni per i danni arrecati con la Guerra. Gli Inglesi non temevano soltanto il peso continentale della Francia, ritornato straordinariamente forte, quanto la prospettiva che la Germania sfinita dalla guerra potesse subire il contagio della rivoluzione russa. Per questo occorreva aiutare la Germania a risollevarsi in fretta, anche politicamente: per Chamberlain, l’appeasement non aveva alternative.
Gli Usa, pur lontani, non chiedevano di meglio per sostenere la loro economia: cresciuta vigorosamente per via delle esportazioni belliche, iniziava a soffrire per le difficoltà dei debitori europei, vincitori e vinti tutti soffrivano. Fu così che le banche americane cominciarono a finanziare con larghezza la Germania dei governi socialdemocratici, soprattutto dopo che a Wall Street si raccolsero sottoscrizioni pari a ben 10 volte la quota da collocare sul mercato americano dei titoli dello Stato tedesco, che venivano emessi per rimborsare la prima rata delle Riparazioni. Prima con il Piano Dawes del ‘24, e poi con il Piano Young del ’29, si provvide a ristrutturare il debito delle Riparazioni, che si convenne sarebbero state pagate in 59 rate annuali, di cui l’ultima con scadenza 1988.
Le cose andarono ben diversamente: la crisi finanziaria di Wall Street sconvolse il mondo. In Europa, le banche austriache e tedesche ne subirono per prime le conseguenze, essendo penalizzate dalla feroce contrazione dei prestiti a lungo termine che provenivano dagli Usa. Il pagamento delle Riparazioni fu sospeso ancora nel ‘31, in attesa di un nuovo accordo che mai intervenne: l’avvento di Hitler bloccò tutto. Fu così che delle Riparazioni per i danni derivanti dalla Prima guerra mondiale, la Germania non pagò quasi nulla.
Anche dopo la Seconda guerra mondiale, scatenata dalle Potenze dell’Asse, la Germania non ha pagato alcunchè, non avendo mai firmato un Trattato di pace. Va ricordato che invece l’Italia sottoscrisse nel 1947 il Trattato di Parigi, con cui si sottometteva a pesanti condizioni politiche e finanziarie per aver preso parte alle ostilità. Nell’ambito delle riparazioni per riparazioni per i danni arrecati dall’Italia con le operazioni belliche e l’occupazione di territori stranieri, figura ad esempio il pagamento alla Grecia di 100 milioni di dollari al controvalore in oro del 1938. Diversamente dalla Germania, l’Italia ha pagato tutto ed a tutti.
La Germania nel frattempo era stata divisa dalle truppe di occupazione: la RFT, nella parte occidentale con capitale a Bonn, era sotto il controllo tripartito di Usa, Gran Bretagna e Francia; la DDR, nella parte orientale con capitale a Pankow, era sotto il controllo esclusivo sovietico. Berlino, in territorio orientale, era divisa in due. Mentre l’URSS decise autonomamente sulle riparazioni di guerra da porre carico della Germania, che accollò integralmente alla sola DDR sottoposta al suo controllo, le Potenze occidentali avevano interesse a sostenere la stabilità della RFT: la Guerra fredda era già iniziata, così come era calata la Cortina di ferro evocata a Fulton da Churchill per isolare tutti i Paesi dell’Europa dell’Est che erano sotto l’influenza di Mosca.
Fu così che gli Occidentali convocarono una Conferenza internazionale per definire il complesso delle questioni relative ai debiti esteri della Germania. Le trattative si conclusero il 27 febbraio 1953, con la firma a Londra di un Trattato che individuava innanzitutto i “Crediti esclusi dall’Accordo”. All’articolo 5 si disponeva che: “L’esame dei crediti governativi verso la Germania derivanti dalla prima guerra mondiale è differito fintanto che la questione non sia stata oggetto di un regolamento generale definitivo”; e che: “L’esame dei crediti, derivanti dalla seconda guerra mondiale, di Stati che furono in guerra contro la Germania o occupati dalla stessa nel corso di tale guerra, compresi il costo dell’occupazione germanica, è differito fino al regolamento definitivo del problema delle riparazioni”. Veniva tutto rinviato, sine die. Il Trattato riguardava solo i debiti esteri che la Germania aveva contratto tra il 1919 ed il 1939: in pratica occorreva regolare le pendenze delle banche americane ed inglesi in quei vent’anni che avevano finanziato lo Stato e le imprese tedesche. I crediti vennero ristrutturati, con un abbuono medio del 60%. Ancora una volta la Germania era riuscita a far valere il suo peso, il valore della sua stabilità nel contesto occidentale, nei confronti della Unione Sovietica. Non solo non pagava le Riparazioni della Prima guerra mondiale, non solo veniva rinviata la defnizione dei danni che aveva causato con la seconda Guerra, ma otteneva un ernome sconto sui debiti esteri, pubblici e privati, che aveva contratto fra le due Guerre, fra il 1919 ed il 1939.
Fu nel 1989, con la caduta del Muro di Berlino, che si rese rendeva imminente la prospettiva della Riunificazione Tedesca, agognata per un cinquantennio. Il 12 settembre 1990 venne firmato al riguardo il Trattato per la Sistemazione Finale della Germania, sottoscritto dai governi tedeschi della RFT e della DDR e dalle Quattro Potenze occupanti. Alla Germania riunificata si restituì la sovranità nelle relazioni internazionali e nella gestione delle questioni interne. La solidarietà europea si manifestò con il Trattato di Maastrich, nel 1992: la Germania ottenne un eccezionale sostegno da parte della Unione europea: venne infatti stabilita una deroga al divieto agli aiuti di Stato, confermata ancora nel 2009 nel Trattato di Lisbona. All’articolo 107, comma 2, lettera c), si stabilisce che: «Sono compatibili con il mercato interno: -gli aiuti concessi all’economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della Commissione, può approvare una decisione che abroga la presente lettera».
Siamo nel 2015, i cinque anni sono trascorsi, ma questa eccezione di cui nessun altro Paese ha mai beneficiato, non è stata ancora eliminata. È una disposizione eccezionale, in vigore da 23 anni, che ha consentito al sistema economico tedesco di trasformarsi nella locomotiva che abbiamo davanti: ha consentito di ammodernare l’intero complesso industriale senza ricorrere ai sacrifici sociali che invece oggi si impongono a tutti i Paesi dell’Unione. Anche alla Grecia, che in questi anni di sacrifici ne ha fatti davvero tanti.
La German Treuhandanstalt, l’agenzia istituita per la liquidazione del sistema produttivo della DDR, già alla fine del 1996 aveva accumulato perdite di oltre 250 miliardi di marchi (al cambio di quell’anno, erano pari a 300 mila miliardi di lire, quando l’intero debito pubblico italiano superava di poco il milione di miliardi di lire). Si crearono un milione e mezzo di posti di lavoro, cedendo le imprese a prezzi stracciati e finanziando contemporaneamente i nuovi investimenti, con un rapporto rispetto al prezzo di acquisto che in molti casi arrivava fino ad 11 volte. La mitica fabbrica delle Trabant non fu chiusa, né i suoi operai licenziati; gli impianti furono acquisiti dalla Volkswagen, completamente ristrutturati a spese del governo della Sassonia, aumentando così la capacità produttiva europea di oltre 250 mila vetture “commerciabili”: la Polo è nata così. Per non parlare, poi, dei cantieri navali Vulcan: invece di chiudere, inefficienti come erano, hanno addirittura aumentato la propria capacità produttiva: dalle 540 mila tonnellate di naviglio inservibile del 1990 si passò alle oltre 700 mila tonnellate del 1997/98, in piena competizione con gli altri costruttori europei. Il Commissario europeo alla Concorrenza, Karel Van Miert, già se ne scandalizzava allora, affermando che, se si era fatto tanto per la Germania, non riusciva neppure a immaginare che cosa si sarebbe dovuto fare per favorire l’integrazione dei Paesi orientali, se avessero richiesto di aderire all’Unione europea: non è accaduto nulla.
Milioni di tedeschi dell’Est, seguendo le consuete regole europee sugli aiuti di Stato, sarebbero rimasti disoccupati chissà per quanti anni, con le fabbriche chiuse, le imprese fallite ed il sistema bancario squassato. Chissà di quanto sarebbe caduto il Pil della Germania, che invece crebbe in continuazione: furono investimenti sacrosanti per la crescita.
Questa è la Storia. La Germania non ha mai pagato per i danni delle due guerre mondiali che ha scatenato: ha sempre fatto valere il peso della sua stabilità nel contesto geopolitico. Se oggi è un campione economico mondiale, lo deve tanto alla solidarietà europea per sostenere l’impegno della Riunificazione. La Germania fa le guerre e poi dimentica. Incassa la solidarietà e dimentica ancora. Non ha memoria ed ancor meno riconoscenza. Vergogna!