Per l’economia italiana, ieri non è stata una giornata di notizie positive: debito pubblico che cresce, produzione industriale in stallo, spesa pubblica locale che potrebbe essere ridotta di almeno una ventina di miliardi, pur erogando a tutti i livelli di servizio più elevati.
Per quanto riguarda l’andamento del debito pubblico, L’Eurostat ha rilevato che, nei dodici mesi intercorrenti tra il primo trimestre 2014 ed il prmo trimestre di quest’anno, l’Italia è stata seconda solo al Belgio nel peggioramento del rapporto debito/pil: siamo passati dal 131,2% al 135,1%, con un incremento del 3,9%. In valori assoluti, è passato da 2.119 miliardi di euro a 2.184 , miliardi, con un aumento di 65 miliardi. Nello stesso periodo, però, le disponibilità liquide del Tesoro sono aumentate di 17 miliardi, per cui il fabbisogno netto delle PA ha inciso per 48 miliardi. Anche con questa rettifica, il dato non è affatto confortante anche se i dati dell’ultimo Supplemento al Bollettino statistico della Banca d’Italia, aggiornati a fine maggio, mostrano che il profilo del fabbisogno delle PA si è contratto ampiamente rispetto a quello del triennio 2012-2014, con un andamento migliore anche rispetto a quello dei primi cinque mesi del 2011.
L’Istat ha pubblicato i dati della produzione industrale a fine maggio. Evitando i confronti con il mese di aprile, assai poco significativi, emerge una completa stagnazione: in termini di fatturato, la varizione nel periodo gennaio-maggio 2014, corretto per gli effetti del calrendario, e quello del corrispondente periodo di quest’anno è stata pari a 0,0%. Rispetto al mese di maggio dell’anno scorso, il fatturato è cresciuto del 2,4% mentre gli ordinativi sono calati dello 0,5%: sintesi di un aumento dello 0,3% degli ordinativi interni e di un calo del 6,3% di quelli esteri. A maggio, l’indice destagionalizzato del fatturato del settore manufatturiero, era ancora a quota 95,3 rispetto al valore 100 del 2010. Siamo in stallo, anche rispetto ad un anno che fu di recessione rispetto al 2007.
Sempre ieri, il Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli ha chiesto al governo di riduziorre tutte le cinque aliquote dell’Irpef dell’1%, invitandolo a “scommettere sulla ripresa iniziando già dal prossimo anno un percorso certo, progressivo e sostenibile di riduzione della pressione fiscale. Per dimostrare ridurre la spesa, ha illustrato uno studio in cui viene analizzata la spesa locale del 2012, quella di Regioni, comuni e provincie: nelle regioni più piccole si spende in media per ciascun abitante il 12,8% in più rispetto a quelle più grandi; in quelle a Statuto speciale il 35,6% in più rispetto a quelle a Statuto ordinario. C’è una enorme disomogenetà nei servizi erogati: fatto 100 quelli erogati in Lombardia, la Sicilia arriva appena a 30. Considerando che la spesa di 176,4 miliardi di euro, è stato calcolato quanto costerebbero i servizi pubblici locali se fossero erogati ai prezzi della Lombradia: gli eccessi lordi di spesa, visto che anche il livello di servizio è diverso, è di 74,1 miliardi, pari al 42%. Se si volessero fornire in tutta l’Italia i servizi al livello della Lombardia, pagandoli ai prezzi di questa regione, sarebbero necessari 51,2 miliardi: ne risulterebbe un risparmio di 22,9 miliardi. Questi sono gli sprechi da tagliare per finanziare la riduzione delle tasse.
Il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, replicando a Sangalli, si è detto d’accordo d’accordo con la linea del premier Matteo Renzi, non senza sottolineare che il taglio delle tasse e l’aumento degli investimenti può avvenire solo “in un quadro in cui il debito scende e si rispettano le regole comuni”.
Siamo alle prese con l’ennesima riforma della PA, l’ennesima riforma della Scuola, l’ennesima legge elettorale. La verità è che si rinviano i problemi da un anno all’altro: tanto, a settembre si sistema tutto con la legge di Stabilità: un solo articolo, migliaia di commi, valanghe di tabelle.
Tutto quadra, sempre. Si mette la fiducia, e via. Per rimanere fermi.