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Gli altri greci dell’eurozona: Torero camomillo trasloca in Spagna

La Spagna, dunque, con la sua economia da torero che nella prima metà dei Duemila strappava gli olé da mezzo mondo. Chiunque ricorderà un qualche amico o conoscente che a quel tempo studiava spagnolo e cercava casa a Barcellona, ansioso di darsi alla produttiva movida spagnola.

Senonché, com’è noto, il torero finì incornato dal cattivissimo toro reso furioso dal maltempo finanziario e anche indispettito, forse, dalla noncuranza con cui il torero, vagamente sbruffone, ignorava gli allarmi, che pure c’erano, sulla sua costituzione fragilina.

Sia come sia, i medici, corsi al capezzale del malato, notarono atterriti, ben nascoste sotto la muleta, le cicatrici profonde di una crescita nutrita a mattone e debito, e prescrissero una cura da cavallo, alla quale il nostro torero si premurò di obbedire, ben lieto di onorare il suo antico curriculum di hidalgo.

Della storiella edificante del torero spagnolo, che così per sommicapi vi ho narrato, esiste anche una versione 2.0 secondo la quale il torero, dopo le amorevoli cure dell’ospedale Troika, sta pensando seriamente di tornare a calcare l’arena, la quale per l’occasione, si scalda elargendo al pubblico una sorta di coming soon. L’economia spagnola torna a crescere, dicono i banditori. E cosa importa di tutto il resto?

La Spagna peraltro ha chiuso il suo programma di aiuti, attingendo solo in parte ai 100 miliardi che le istituzioni estere le avevano concesso, col che denotandosi, per lo meno a livello di percezione, che la situazione spagnola non doveva poi essere così grave. Non a caso di recente son tornate a fischiarmi nelle orecchie voci di amici e conoscenti che parlano della Spagna come la patria di un nuovo miracolo economico.

Senonché, educato allo scetticismo da San Tommaso, sono andato a rivedermi cosa scrive la Commissione Ue sul redivido torero spagnolo, al quale ovviamente vanno i miei più calorosi auguri di una lunga e serena vita, e mano a mano che mi ubriacavo di grafici e tabelle succedeva che nelle orecchie, invece degli olé di amici e conoscenti, iniziava a farsi sentire un motivetto familiare a chi ha figli piccoli o sia un patito dello zecchino d’oro: il torero camomillo. In effetti l’arena è già affollata, come dice la canzone, però non c’è il torero, o almeno quello dei primi anni duemila. Al suo posto è arrivato il matador tranquillo che dorme appena può, e che sul toro preferisce dormirci sopra piuttosto che stordirlo con le sue piroette. Converrete che il ritornello si adatta perfettamente alla Spagna in versione 2015.

Evito di ripetere cose ormai ampiamente note (o forse no). Mi basta ricordare che la Spagna deve vedersela ancora con un tasso di disoccupazione superiore al 23%, che ha debiti, privati e pubblici, per oltre il 350% del Pil, la maggior parte dei quali sono privati, e soprattutto ha una posizione estera netta negativa per quasi il 100% del Pil che, scrive la Commissione, richiederebbe notevoli e prolungati surplus di conto corrente. ” La Spagna – scrive l’Ue nell’ultimo Country report – avrebbe ancora bisogno di raggiungere un avanzo corrente record del 1,7% del PIL in media nel periodo 2014-24, al fine di dimezzare la sua NIIP-to-PIL entro il 2024″. Dimezzare, non eliminare. Quindi arrivare a un deficit del 50%. E ricordo che la soglia Ue per lo squilibrio macroeconomico esterno è un deficit del 35% del Pil.

Per darvi un’idea di cosa vuol dire, avere un avanzo corrente dell’1,7 medio, osservo solo che nel 2014 il saldo corrente è tornato negativo per lo 0,1% e si prevede torni in attivo, al +0,6%, nel 2015. All’apice della correzione, avvenuta nel 2013, il saldo corrente, come si può osservare dal grafico, non è riuscito a superare la soglia del 2%.

Ancora peggio mi sento, quando vedo che nemmeno ai tempi buoni il torero spagnolo riusciva a chiudere in equilibrio i suoi conti esteri. Al contrario: all’apice del boom e degli olé, il conto corrente sprofondava, fra il 2005 e il 2006, a un deficit dell’8% del Pil.

Come abbiano fatto gli spagnoli a recuperare lo si capisce osservando le componenti del conto corrente, dove si nota il crollo del deficit della bilancia dei beni, che da sola aveva raggiunto l’8% del Pil, e che nel 2012 aveva ridotto il buco a meno del 2% del Pil.

E qui casca l’asino. Se infatti andiamo a vedere come la Spagna abbia ottenuto la sua crescita dell’1,4% nel 2014, che si prevede arrivi al 2,3% nel 2015, notiamo che il driver è stata la domanda interna, contribuendo negativamente l’export. Ciò significa che gli spagnoli devono consumare e investire a casa loro per poter crescere, sia a livello privato che pubblico, ma appena cominciano a farlo il saldo corrente va a farsi benedire.

E viceversa. Nel momento della correzione, infatti, la curva del Pil scendeva sottozero perché la componente positiva dell’export netto non riusciva a compensare quella negativa del crollo della domanda interna. Pensare che uno grande paese come la Spagna possa pagare i suoi debiti con le esportazioni, in effetti, sembra alquanto avventuroso. Tanto più se osserviamo che nel frattempo la quota di mercato estero dei prodotti spagnoli si è pure ridotta di oltre il 20%.

Insomma: il torero deve consumare di suo, sennò deperisce e muore. Pure adesso che è un matador tranquillo.

Come si possa immaginare che la domanda interna si sviluppi, in un contesto di debiti, privati e pubblici, di questo livello, e con un sistema bancario ancora assai problematico, malgrado i salvataggi, dove i crediti deteriorati sono in media al 13% e quelli del settore costruzioni quasi il triplo, e le banche sono ancora assai restie a prestare, è davvero esercizio che farebbe perdere il sonno a chiunque.

Capite bene perché torero camomillo dorme appena può.

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