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Basta con le liti sulla nostra economia e sul mercato del lavoro

Il teatrino mediatico sull’Italia continua a far danni. Dalle intercettazioni interplanetarie ai sindaci e governatori “incapaci o comunque indagati”, agli scioperi selvaggi che violentano il nostro patrimonio culturale e la nostra credibilità, alla situazione economica a giorni alterni confusa. Tutte le mattine sono diffusi diversi indicatori che possono contribuire a imbroglaire e a volte rattoppare le caratteristiche del mercato del lavoro italiano e dunque anche della nostra economia sbattuti in prima pagina in maniera frammentaria. Cominciamo a fare un po’ d’ordine.

A sei mesi dall’entrata in vigore dovuta alla legge di stabilità, della decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato e da cinque mesi dalla riforma dell’istituto ad opera del d.lgs. n. 23/2015 dobbiamo fare bene i conti. Cominciamo dai dati e statistiche diffuse dall’Istat sulla produzione industriale di maggio: registriamo un aumento dello 0,9% rispetto al mese precedente e del 3% su base annua, confermando una possibile inversione dei trend negativi degli ultimi anni, se è vero che la spinta è data soprattutto dal +8,5% dei beni strumentali. Affianchiamo poi sempre dell’Istat i dati sugli occupati e disoccupati. L’ultimo dato nazionale da prendere in considerazione è il calo di 63mila occupati verificatosi sempre a maggio 2015 e sempre certificato dall’Istituto Nazionale.

Gli stessi dati mostrano un lieve calo della disoccupazione giovanile compensato però negativamente dall’aumento dell’inattività nella fascia d’età 15-24.I dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulle comunicazioni obbligatorie dei rapporti di lavoro attivati e cessati,rappresentano una situazione diversa e sempre relativi allo stesso periodo cioè maggio 2015 che certificano una sostanziale continuità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sia quantitativamente che qualitativamente. Ci è ben chiaro l’obiettivo del JOBS ACT e cioè soprattutto attraverso i decreti attuativi che è quello di diffondere forme di lavoro stabili, con il contratto a tempo indeterminato che deve essere privilegiato tra tutti e diventare la normalità per le nuove assunzioni, come dichiara l’art. 1 del d.lgs. 81/2015.

Vero è però che nei primi mesi del 2015 vi è stato un netto aumento della percentuale di contratti a tempo indeterminato sul totale delle nuove attivazioni, ma si è ora interrotto. Dunque è legittimo osservare che esso sia stato determinato non dalla maggior flessibilità in uscita dell’istituto riformato, ma dallo sgravio contributivo che sembra aver già terminato il suo effetto. E’ legittimo concludere che è utilizzato uno strumento che non corrisponde alle sue esigenze sostanziali ma solo a quelle di contingenti di cassa e quindi di breve periodo. E’ anche legittimo porsi una domanda alla luce dei dati: come è possibile che cresca la produzione industriale e che l’occupazione sia ferma? Ancora sui dati ufficiali e questa volta andando oltre il nostro ombelico, e dunque ai dati dell’ OCSE con il Employment Outlook 2015 pubblicato il 9 luglio.

Il Rapporto denuncia la scomparsa di molti dei lavori del settore manifatturiero ed essendo la produzione industriale italiana legata principalmente alla manifattura, questa è probabilmente anche la causa del nostro blocco. L’allarme di una grande quantità di lavori scomparsi a livello internazionale è oggi più forte e la grande componente di beni strumentali all’interno dell’aumento della produzione industriale può far immaginare la sostituzione di molti lavori svolti da uomini e donne nel periodo pre-crisi con macchine e questo è ancora più vero nel nostro paese.

Quello che è indispensabile oggi in Italia soprattutto e subito è una struttura del mercato del lavoro che va oltre la categoria della subordinazione e perciò imbocca a gamba tesa una vera flessibilità, e per essere efficacie, deve superarne i limiti. Non c’è più tempo per i dibattiti dottrinali tra fazioni politiche e cervelli autoreferenziali bisogna in fretta applicare con forza il JOBS ACT e in particolare l’art 1 del dlgs 81/ 2015,in parte già ormai superato da una realtà che non ci aspetta. Inoltre è necessario subito una politica industriale che non rincorra solo le (per ora) salvate aziende come la Wirphool o la danneggiata ILVA che fa sempre più gola agli stranieri.

La soluzione è nel rivedere la strategia che mette insieme capitale e lavoro e dunque la partecipazione e la responsabilità attiva ai risultati dei cambiamenti, una rivoluzione vera e propria delle forme contrattuali, della scuola che serve e non quella “poco buona”, della formazione professionale e del lavoro e dell’industria collegate fortemente per acquisire nuove competenze, una rete dei servizi pubblici e privati alle imprese e all’impiego, scommettendo così sull’innovazione e sulla formazione continua che chiedono sia il mercato che i nostri giovani. Basta dunque alle liti insopportabili che ci stanno trascinando in un buco sempre più nero.



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