Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Dal 2008, ovvero dalla nascita del Popolo della Libertà, la destra è stata quasi totalmente marginalizzata dall’azione politica quotidiana. Inglobata e annullata e poi piano piano divisa e annientata. Silvio Berlusconi ha occupato mediaticamente lo spazio che era di An per poi sostituirne i dirigenti con i suoi uomini, che poi puntualmente sono passati a fare da stampella a Renzi.
In questi giorni sembra che sia suonata la campanella e sia finita la ricreazione nella destra politica italiana. Si tenta di tornare in classe dopo che per qualche anno le strade sono state separate e spesso contrapposte.
Si muove qualcosa a destra del nulla. Un nulla rappresentato da un centrodestra che nel migliore dei casi si presenta diviso, confuso e lacerato, senza alcuna capacità di programmare le strategie future.
C’è bisogno di una destra non estremista, che alzi però la voce su immigrazione, giustizia e legalità. Tematiche prese in prestito da altri e usate come cartello elettorale. Ma non è colpa di chi le ha prese in prestito, ma semmai di chi le ha abbandonate per pensare ad altro.
L’implosione di Alleanza Nazionale ha portato le singole correnti ad assumere posizioni distinte e distanti come tante meteore impazzite, a creare piccole liste civiche locali o partitini ininfluenti che hanno disperso l’elettorato. Siamo così passati dai duri e puri che si sono isolati su posizioni estreme, ai dirigenti che di corsa hanno imparato ‘meno male che Silvio c’è’, da chi è al Governo con il Pd a chi ha smesso semplicemente di fare politica.
C’è una generazione di quarantenni che ha vissuto la svolta di Fiuggi e visto Alleanza Nazionale al 15,6% nel ’96 che ritiene che il patrimonio valoriale della Destra italiana non possa essere disperso e non possa essere enunciato da nuovi leader che con la destra hanno poco a che fare.
L’elettorato storico è profondamente disorientato e ferito. Ciò che è avvenuto a Roma è solo uno dei tanti casi che hanno umiliato e macchiato la storia della destra italiana. È vero che non ci sono condanne definitive ma resta evidente alla prova dei fatti che la nuova classe dirigente non sia stata all’altezza del governo della Capitale d’Italia e si sia accontentata di amministrare assecondando vecchi poteri e aspirazioni personali, invece di cogliere l’occasione per una rivoluzione copernicana dell’amministrazione capitolina.
Si è preferito costruire delle correnti attorno alle singole cerchie di potere semplicemente per auto tutelarsi e sopravvivere in un sistema fortemente dopato.
C’è uno spazio enorme a destra del vecchio Pdl, uno spazio che va riconquistato e ricostruito. Tanti elettori che chiedevano una classe politica trasparente, seria e pulita hanno risposto all’appello di Grillo. Molti, anzi moltissimi ricordano che in AN bastava un avviso di garanzia per rimanere in panchina e non essere ricandidati almeno fino al giudizio finale. Il passaggio nel Pdl dove, al contrario, processi e condanne sembravano fare curriculum per molti è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
C’è un grande lavoro da fare per ricostruire la credibilità stessa della destra italiana e non basterà una semplice operazione di marketing di pochi mesi, o magari qualche evento-spot organizzato da vecchi dirigenti che hanno la convinzione di avere le chiavi di una casa che non c’è più.
La prima cosa buona che dovrebbero fare è mettersi in panchina e dare al massimo dei consigli da allenatori. Lo stesso Gianfranco Fini che è stato il leader indiscusso di Alleanza Nazionale, oggi non potrebbe fare altro che mettere a disposizione la sua esperienza e il suo bagaglio culturale alle nuove generazioni. Ma niente candidature, niente pretese di questo o quel posto. Perché bisogna costruire qualcosa di davvero nuovo e non riproporre qualcosa che è già sonoramente fallito qualche anno fa.
La cosa migliore che possa aver fatto Bossi nella sua vita è stato lasciare un partito distrutto da inchieste e scandali nelle mani degli elettori che hanno scelto liberamente di affidarsi al giovane Salvini che ha portato la vecchia Lega ad essere il terzo partito italiano. Ci sono degli straordinari amministratori locali nel centrodestra, ma sanno che non potranno mai emergere perché c’è una forma di tappo generazionale che non gli permetterà di andare oltre ai consigli regionali, perché i vecchi dirigenti, gli ex ministri, gli ex sottosegretari non rinunceranno mai al loro seggio e non permetteranno un ricambio generazionale che mai come ora è urgente e necessario.
Se non si trova un accordo tra i vecchi dirigenti che non vogliono assolutamente mettere in discussione il loro ruolo, è necessario che dei giovani amministratori facciano qualcosa per rimettere in moto una comunità umana che in questi anni ha già dimostrato di poter votare per altri partiti e altre coalizioni.
Non ho mai pontificato Fini nella sua azione da leader, ma avendo vissuto la drammatica esperienza del Pdl gli riconosco l’appartenenza ad una cultura politica che del confronto, della formazione degli amministratori e dei dirigenti nel territorio faceva un punto d’orgoglio.
Improvvisamente ci siamo trovati inghiottiti in un circo mediatico fatto di inni, spot, coriandoli ed effetti speciali, dove chi parlava bene in tv poteva fare il capogruppo e chi era invece bravo a scrivere leggi e magari aveva la disgrazia di avere un po’ di esperienza di aula, veniva emarginato e messo in secondo piano.
Ci sono troppe cose che non funzionavano in Alleanza Nazionale e che hanno portato questo soggetto politico ad implodere.
Solo se si avrà il coraggio di riconoscere determinati errori si avrà la possibilità di ripartire con un nuovo soggetto politico che possa riconoscersi in una destra popolare e non populista, una destra che vede la tv come uno strumento di supporto e non come unico mezzo col quale confrontarsi con gli elettori. Una destra seria e credibile, capace di tornare a riempire le piazze e non solo di fomentare il pubblico della D’Urso o di Quinta Colonna.
Una destra che torni a parlare a testa alta di onestà, di legalità, di giustizia senza che qualcuno possa puntare contro il dito possa e dire di essersi resi complici di un qualcosa che di destra non è mai stato.