La Borsa si entusiasma per Unicredit nel giorno della pubblicazione dei conti, migliori delle attese, ma agli analisti non basta – almeno non a tutti.
I DATI DEL SECONDO TRIMESTRE
Intanto, partiamo dai numeri: il secondo trimestre si è chiuso con un utile netto di 522 milioni di euro (+29% anno su anno) rispetto alla previsione di 420 milioni del consensus. Risultato reso possibile dalle minori rettifiche sui crediti, calate di quasi il 7% a 913 milioni e da un carico fiscale di 238 milioni, ovvero inferiore del 60% circo rispetto all’anno precedente.
I CONFRONTI
La prima metà dell’anno per Unicredit è così archiviata con un nero di poco più di un miliardo, in lieve calo (-7,3%) rispetto alla prima metà del 2014. Ma il dato più significativo, e quello che probabilmente ha fatto piovere acquisti sul titolo, è relativo al Common equity tier 1 fully loaded, passato dal 10,1% al 10,37%, e potenzialmente al 10,84% includendo l’apprezzamento della riserva Afs sui titoli di Stato e la cessione parziale di Pioneer.
GHIZZONI GONGOLA
Entusastico, ovviamente, il commento dell’ad Federico Ghizzoni che si prepara al rinnovo degli assetti di vertice nell’organigramma, di cui abbiamo parlato qui. “Un risultato di grande valore in un contesto ancora sfavorevole per l’industria bancaria, che vede tassi d’interesse ai minimi storici – ha detto l’ad – Abbiamo rafforzato i coefficienti patrimoniali, che confermano la solidità del gruppo, in controtendenza rispetto alla media di settore in Italia”. E intanto si prepara all’uscita il direttore generale Roberto Nicastro che lascerà il gruppo dopo 18 anni, per “del tutto serene e composte divergenze di opinione sulla direzione strategico organizzativa dell’azienda”, ha scritto il gruppo in un comunicato.
CHE SUCCEDE CON L’USCITA DEL DG NICASTRO
A partire dal primo ottobre le sue deleghe saranno ripartite tra Paolo Fiorentino, Marina Natale e Gianni Franco Papa. Natale viene nominata vice direttore generale dal ottobre, affiancando Fiorentino e Papa. Cambia anche il capo dei rischi: Alessandro Decio “garantirà la transazione” con Massimiliano Fossati, già responsabile rischi per il perimetro italiano della banca, “prima di ricoprire un’altra posizione nel gruppo che sarà definita nei prossimi mesi”, scrive Repubblica.
ANALISTI IN ATTESA
Ma se in Borsa il titolo è balzato del 5%, gli analisti smorzano i toni. Tutti positivamente sorpresi dal percorso dell’unica banca sistemica italiana ma qualcuno non del tutto convinto che possa bastare. Per Giovanni Razzoli, di Equita Sim, il titolo Unicredit è da tenere (hold) con un prezzo obiettivo che si alza leggermente da 6,7 a 6,9 euro, ovvero non molto lontano da quello attuale del titolo in Borsa. “La sorpresa – dice Razzoli – è ‘aumento del CET1 di 27 punti base trimestre su trimestre a 10,6% a fine giugno che sale a 10,8% ad oggi per effetto del calo degli spread sovrani. L’aumento è legato alla riduzione di 15 miliardi di Risk-weighted assets (-3% trimestre su trimestre, 50% su rischi di credito e 50% su rischi di mercato) in Italia, Germania e Austria. Ed equivale ad una generazione di capitale superiore al miliardo, ovvero pari al 5% della capitalizzazione di mercato”. A livello operativo, la performance è in linea anche in termini di contributo delle divisioni: “da segnalare – prosegue Razzoli – molto meglio delle attese la Germania, che ha segnato un risultato operativo di 201 milioni contro attesa a 136 milioni, anche grazie al trading; e la stabilità della Russia (75 milioni contro i 79 del primo trimestre). Indicazioni confortanti da tutti i mercati anche costo del rischio (77 punti base rispetto agli 84 attesi), confermati i miglioramenti strutturali dell`asset quality con stock di crediti problematici in calo del 2% trimestre su trimestre. Il nuovo piano industriale si focalizza sul taglio dei costi nel secondo semestre: confermiamo le stime 2015-17, aumentiamo il CET1 2015 da 10,8% a 11,1% e il target price da 6,7 a 6,9”.
Più severa Marta Bastoni di Barclays che conferma il target price di Unicredit a quota 6,5 euro con giudizio equal weight. “Nonostante la forte progressione rispetto al primo trimestre – scrive Bastoni – il capitale rimane una questione centrale nel dibattito intorno all’investimento in Unicredit. Gli sforzi per ridurre i risks-weighted assets sono stati un driver significativo della migliore posizione di capitale, ma non tutti questi avanzamenti degli Rwa possono essere sostenibili e non è chiaro quanto ci sia da fare daw adesso in avanti. Con i coefficienti di capitale ancora relativamente bassi, la volatilità delle riserve Afs è causa di preoccupazione. Sulla profittabilità, vediamo spazi per aumentare le commissioni e tagliare i costi, ma le misure devono ancora essere pubblicate e il reddito da interesse netto sottostante sempre marginalmente più debole trimestre su trimestre. Per tutte queste ragioni abbiamo tagliato del 13% le previsioni di profitto netto a tutto il 2015, del 12% per il 2016 e dell’8% per il 2017”.
APPLAUSI DAI BROKER EXTRA-EUROPEI
Per Nomura, Unicredit si conferma invece top picks tra i bancari del sud Europa “per la combinazione delle valutazioni basse con la prospettiva di un miglioramento delle condizioni economiche del Paese, che hanno consentito alla banca di accelerare le cessioni di asset non-core nel corso di questo trimestre”, scrive Jaime Hernandez. E applaude anche Alvaro Serrano, analista di Morgan Stanley, che sui conti conferma il suo overweight e porta il target price da 6,75 a 7,10 euro.
A convincere l’esperto è la costruzione del capitale “oggi al 10,37% – scrive Serrano – ma a cui la jv tra Pioneer e Santander può aggiungere ulteriori 25 punti basi, che insieme al recupero nel mercato obbligazionario che finora nel terzo trimestre equivale a 22 punti base, dovrebbe far chiuder il Cet1 2015 di Unicredit al 10,9% portando all’11,5% nel 2016, ovvero abbastanza per aspettarsi un ripristino del divindendo”. Il prossimo elemento catalizzatore sarà il piano industriale grazie soprattutto all’atteso taglio dei costi. “E a monte di tutto – conclude il broker Usa – l’approvazione della legge sulla bancarotta insieme al recupero della congiuntura potrebbe accelerare la riduzione degli asset non-core”.