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Ecco i veri nodi della questione meridionale

Non so se Matteo Renzi abbia mai approfondito gli studi di Giustino Fortunato, Guido Dorso, Gaetano Salvemini, Luigi Sturzo e Antonio Gramsci sulla questione meridionale.

E, venendo più vicini a noi, abbia mai analizzato le politiche per il Sud e con il Sud attivate dai grandi meridionalisti del dopo guerra, a cominciare da Pasquale Saraceno a Manlio Rossi Doria e sino ai due grandi ministri cislini piemontesi del Mezzogiorno: Giulio Pastore e Carlo Donat Cattin. Quest’ultimo definito “grande ministro meridionale” da colui che gli fu collaboratore prezioso a quel ministero, il senatore Francesco Compagna, intelligente uomo politico e grande figlio del Sud, esponente di rilievo del PRI lamalfiano e spadoliniano. Crediamo sia più vicino al vero, Piero Ostellino che, domenica scorsa su “Il Giornale”, connota l’illegittimo premier fiorentino come un leader ondeggiante “ tra cinismo e incapacità”.

“Il Bomba”, anche stamane, coglie i dati dell’INPS sull’aumento dei contratti a tempo indeterminato per esaltare col solito tweet gli effetti del suo Jobs act, ma sembra ignorare quelli drammatici della SVIMEZ sulla gravissima situazione economica, sociale e occupazionale del Sud di qualche giorno fa. Meglio di lui hanno scritto gli  amici Ugo Grippo,  Ariuccio Carta e Mario Tassone che di quella parte del nostro Paese sono stati autorevoli esponenti nella Prima Repubblica.

Puntuali e rigorose, altresì, sono le analisi e le proposte politiche per il Sud, offerte su “Il mattinale” di Forza Italia di sabato scorso. Il cosiddetto “decalogo per il Sud”, ossia dieci priorità strategiche per lo sviluppo e il rilancio delle aree del Mezzogiorno, che prevedono: l’attivazione di un insieme coordinato di piani regionali di completamento e supporto, nelle specifiche aree di competenza, da finanziarsi attraverso il miglior utilizzo del risparmio privato prodotto dall’area, attraverso la nuova autonomia impositiva conseguente all’introduzione di un ampio federalismo fiscale che superi l’attuale sistema fortemente centrato sui trasferimenti erariali a destinazione vincolata, ragione non ultima per le regioni del Sud, dell’elevato livello di deresponsabilizzazione e abbandono.

In secondo  luogo, tema a noi assai caro, l’istituzione di macroregioni atte a ridurre gli squilibri territoriali e a superare gli attuali costi insostenibili delle venti Regioni italiane.

In terzo luogo: la realizzazione di progetti infrastrutturali a rete, dai sistemi viari e ferroviari; servizi pubblici locali, banda larga e ultra larga, ecc..

Il miglioramento dell’offerta dei servizi e delle strutture per l’istruzione; il potenziamento dell’efficacia di impiego delle risorse destinate al settore tecnologico e dell’innovazione; il rafforzamento del comparto sicurezza; il miglioramento della qualità del sistema giudiziario; l’ammodernamento della pubblica amministrazione; un piano mirato a facilitare l’accesso al credito; l’attivazione di un sistema di incentivi che favoriscano la crescita dimensionale delle imprese meridionali, attualmente frenate da problemi legati ai costi unitari aggiuntivi e all’incertezza propria del contesto.

Ottime indicazioni, ahimè, formulate dopo che gli ultimi governatori del Sud di Forza Italia, ormai tutti decaduti, non hanno dato grandi dimostrazioni di buon governo.

Né ci aspettiamo molto di meglio dai nuovi cacicchi del PD insediatisi, da più o meno tempo, in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, i quali, o hanno già dato pessimi esempi del loro malgoverno, o hanno formulato le prime indicazioni ben lontane da politiche in grado di offrire una svolta effettiva e solutiva alla questione meridionale.

Anche per il Sud non sarà la casta di una classe politica e burocratica ormai vecchia e stantia, con la prima, al governo e nel Parlamento, sostanzialmente illegittima,  a garantire soluzioni concrete per il nostro meridione, ma solo una forte iniziativa popolare che parta dal basso, sostenuta da movimenti, gruppi, associazioni, e partiti motivati da serie culture politiche potrà  attivare un’autentica rivoluzione morale e culturale, prima ancora che politica.

Noi popolari, portatori della cultura della solidarietà e sussidiarietà, principi fondanti della dottrina sociale cristiana cui ispiriamo la nostra azione politica, dal Nord al Centro al Sud d’Italia dovremo unire tutte le nostre energie da collegare a quanti, laici, liberali, riformisti, sentono come noi forte la necessità di superare la drammatica situazione economica, sociale e occupazionale del Meridione.

Una grande mobilitazione popolare la dovremo attivare sin dal prossimo autunno, per porre al centro del dibattito politico la necessità di dare una prima forte risposta alla questione meridionale che è stata, è e rimane, ancor oggi e più di ieri,  parte fondamentale della questione nazionale dell’Italia.

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 


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