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I limiti della rottamazione

Le riflessioni agostane generano ulteriori interrogativi, rispetto ai già numerosi che sorgono durante l’anno. In attesa di valutare gli effetti della recente riforma sulla PA, nonché di scoprire quali soluzioni proporrà questo governo per un piano di sviluppo del Paese che più di ogni cosa serve oggi, possiamo fermarci ad una valutazione di quello che è stato il processo di rottamazione. Slogan che di fatto ha segnato il percorso politico del premier, che apparentemente assurge a cavallo di battaglia (con tanto di hashtag e di una strategia comunicativa che avrebbe ammaliato mezzo Paese – ma davvero? – benché nessuno lo abbia legittimato con regolari elezioni), ma che presto o tardi dovrà spiegare se e quanto sia servito, oltre che a che cosa (o a chi) sia servito.

Il processo di rottamazione viene certamente agevolato da fattori esterni che presto o tardi emergeranno più chiaramente. Aldilà di congetture, fermiamoci a due aspetti rilevanti: il processo, telecomandato con precisione certosina, si fonda su due criteri, quello generazionale e quella della contiguità.

Quello generazionale spiega l’avvicendamento di una classe dirigente imputata di una serie di colpe, con una classe dirigente apparentemente rampante, giovane (trenta-quarantenni, prevalentemente), ansiosa di emergere. La competenza, la pertinenza, il merito effettivo vengono in secondo piano. Prima cosa, sostituire, rinfrescare, rottamare dunque.

Secondo parametro è la contiguità con il premier. Nella storia passata e recente questo criterio ha sempre avuto una discreta importanza, non fosse altro perché sorge da una relazione fiduciaria che è necessaria in un’ottica di porre in essere una strategia organizzata di gestione del potere.

Non faccio valutazioni nel merito sui risultati che i due parametri di cui sopra hanno fornito, ci sarà il tempo per farli e i risultati (reali, non quelli dichiarati, ergo attenzione a valutare il reale) riveleranno certamente molto.

Mi fermo tuttavia a un neo, che fin dall’inizio mi ha reso molto perplesso dinanzi al percorso intrapreso, alla “marcia” virtuale dell’ariete verso il potere e verso la gestione dello stesso. L’aver completamente trascurato – per lo meno pubblicamente- chi il Paese lo conosce davvero, chi  ha contribuito a costruirne le parti migliori. Chi si è distinto prima di avere incarichi prestigiosi, e chi ha maturato un’esperienza di una tale unicità che oggi può spiegare ai rampanti ministri pieni di brio ed entusiasmo che non bastano progetti ambiziosi e dirompenti, se non si conosce e non si comprende appieno che cosa è successo negli ultimi 50 anni.

Occorre pertanto oggi ri-allacciare due generazioni sconnesse, impietosamente sottolineo. Occorre con umiltà avvicinarsi ai saggi e sapienti, ai buoni maestri ma anche agli sfortunati protagonisti, per imparare, per fare domande. Diceva un saggio che la conoscenza è avere la risposta giusta; intelligenza è avere la domanda giusta. Torniamo a fare domande.



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