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I 4 motivi cinesi del panico nei mercati mondiali. L’analisi dello strategist Sersale

cina

Giornata d’altri tempi sui mercati, quella di ieri.
Personalmente, rimango impressionato dalla price action delle ultime ore anche per un altro motivo: mi pare assolutamente sproporzionata rispetto ai catalyst. Per intenderci, l’ultima volta che si è osservato qualcosa di simile è stato nel 2011 (ancora ad agosto) quando in America il tormentone sul tetto al debito aveva causato il downgrade del Tesoro US a opera di S&P, ed in Europa stava definitivamente esplodendo la crisi del debito sovrano.

Andiamo con ordine.
Venerdi sera Wall Street ha messo giù la sua peggior seduta dal 2011 (-3.2%), chiudendo sui minimi senza mai dar l’impressione di poter invertire la rotta. A questo punto tutti gli occhi si sono girati, a caccia di un catalyst positivo, verso le autorità cinesi, in dovere, secondo i più di varare qualcosa in grado di arrestare il massacro da loro stesse creato.
Inutile dire che l’apertura del fondo pensione all’investimento in azionario fino al 30% degli attivi (una misura già oggetto di indiscrezioni) e la vaga promessa di un taglio alla riserva obbligatoria in settimana, sono sembrate mosse assai deludenti ad una comunità di investitori che sperava in nuovo stimolo monetario e fiscale, sul fronte operativo, la difesa di quota 3550 di Shanghai Composite (il minimo del 9 luglio).

Così, l’apertura di ieri stata un vero e proprio disastro in Asia, con tutti gli indici in picchiata di manciate di punti percentuali. Shanghai (8.5%) naturalmente la peggiore, è riuscita nell’impresa di cancellare i guadagni del 2015. Ma col suo dramma, è riuscita ad affossare le principali piazze del continente che ora presentano perdite da inizio anno comprese tra il -4% di Seul e il -20% di HSCEI e Taiwan.

L’apertura europea è stata ugualmente drammatica, ma non è stata nulla a confronto di quanto si è osservato in concomitanza con l’apertura di Wall Street, quando quella che è sembrata un ondata di stops su cambi ($/Yen ed €/$) e la sospensione al ribasso del Nasdaq future (perdita di oltre il 5% a mercato cash chiuso) d hanno causato una discesa dell’ Eurostoxx fino a oltre -9%.

Successivamente, a Wall Street sono ricomparsi dei compratori (col mercato in calo del 10% in appena 3 sedute, era anche ora), e ciò ha condotto l’Europa ad una chiusura meno miseranda. Al recupero ha contribuito la comparsa di un intervista di Cook, in cui rivelava che la domanda di prodotti Apple in Cina è stata robusta negli ultimi 2 mesi.
Il recupero finale non riduce l’eccezionalità del movimento, con l’Eurostox tornato su livelli osservati la prima volta nell’ultimo trimestre del 2013, avendo interamente cancellato, nello spazio di una manciata di sedute, i progressi 2015.

Davvero niente male considerando la scarsità di catalyst interni per il movimento.
Ad oggi, la principale causa della crisi di panico che attanaglia i mercati globali sembra essere la seguente concatenazione di eventi:
** Le autorità cinesi hanno assecondato una mini bolla nei loro mercati (mini perche’ non sono nemmeno stati superati i massimi 2007)
** le misure con le quali la hanno affrontata sono state quasi peggiori del male (ad esempio il blocco alle vendite ha causato liquidazioni nei mercati limitrofi) ed apparentemente ciò le ha convinte ad abbandonarle, senza sostituirle, nel breve, con qualcos’altro.
** Il quadro è stato aggravato giorni fà con  l’improvvida mossa di svalutare marginalmente lo Yuan, per dare maggior flessibilità al cambio.
** Queste mosse hanno nel breve danneggiato la loro credibilità, alimentando l’impressione che stiano perdendo il controllo della situazione e siano disperate e disposte a svalutare lo Yuan pur di puntellare il ciclo.

Proprio quest’ultimo effetto sembra essere alla base dell’ondata di panico delle ultime ore: in una fase in cui le politiche monetarie sono considerate fondamentali per la tenuta del quadro macro globale e la stabilità dei mercati finanziari, l’apparente impotenza di quelle cinesi, unita all’ ambiguità della stance Fed (alza?, non alza?) hanno minato la fiducia nelle politiche monetarie  e alimentato dubbi sull’effettivo grip delle banche centrali sul ciclo.

Peraltro, sospinti da questi timori, i mercati stanno andando a scontare una recessione globale di cui per il momento non v’è traccia nei dati macro. Le economie dei paesi industrializzati mostrano tassi di crescita moderati ma stabili. Negli USA il settore servizi compensa la debolezza di quello manifatturiero e il quadro occupazionale migliora costantemente. In Europa l’attività e tornata sui livelli di aprile e gli ultili hanno sostanzialmente confermato le stime. La debolezza delle commodities sembra assai più legata a dinamiche di offerta che di domanda.

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