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Ecco le due vie d’uscita per l’Europa

La famosa battuta attribuita a Henry Kissinger, “Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?”, una volta riassumeva efficacemente la debolezza decisionale dell’Unione.

Forse aveva un cuore – Bruxelles – ma non aveva una testa. La buona notizia è che il problema è stato superato. La cattiva è che la persona da chiamare è Angela Merkel. Jean-Claude Juncker, piuttosto che la massima espressione della volontà democratica europea, è una mera figura di rappresentanza.

Non doveva finire così. Si dimentica che uno dei principali motivi per la formazione del “Mercato Comune” era per l’appunto quello di calmare i bollori imperiali della Germania — espressi con chiarezza in due guerre mondiali — e non quello di creare un nuovo veicolo di dominio.

La nuova realtà non è colpa dei tedeschi. Come si fa a criticare la serietà? Discende invece dalla drammatica inettitudine dell’Unione quando agisce come “governo sovranazionale”. L’elenco dei disastri combinati — sempre con ottime intenzioni — è ormai sterminato. Nella sola politica estera, possiamo iniziare mettendoci la “Primavera araba”, la Grecia, l’Ucraina e, prima ancora, i Balcani e il Kosovo.

Per la gestione economica basta osservare che l’unico paese Ue a essere tornato al PIL “ante crisi”, l’Inghilterra, non solo ha rifiutato l’euro ma anche tutti i “consigli” economici in arrivo da Bruxelles. Il Trattato di Schengen ha rimosso i controlli ai movimenti interni giusto in tempo per rivelarsi spettacolarmente inadatto all’immensa (e da molti prevista) inondazione migratoria dall’Africa e dal Medio Oriente.

Il caso è rappresentativo. L’Unione, assorbendo la sovranità dei singoli stati, è ora in grado di assicurare che nessun altro possa agire con efficacia, ma al tempo stesso si è rivelata incapace lei di gestire le criticità. La reazione di Bruxelles alle tante catastrofi è quella di ogni politico fallito: “Non ci hanno lasciato governare. Dateci più poteri e sistemeremo tutto!”

Davanti alle tante prove mancate, non è questa l’aria che tira. In più, venuto meno il duopolio con la Francia che governava l’Unione — e davanti all’Inghilterra forse sull’orlo dell’uscita — la Germania è rimasta sola. Sola e in ultima analisi debole. Nei fatti non va bene neppure l’economia tedesca. C’è poi un problema di forma mentis, un troppo visibile disprezzo per gli altri paesi meno “seri”. C’è anche quella difficoltà d’immagine derivante dalle guerre combattute e non ancora dimenticate.

La Germania non ha più nemmeno un apparato militare significativo. Ad est è protetta da un nemico storico, la Polonia. Ad ovest lo Stato Maggiore francese ride che i propri carri ci metterebbero tre giorni per penetrare fino a Berlino, ma “solo perché hanno messo le ‘velocità consigliate’ sulle autobahnen…”. L’Europa in questo momento ha due vie d’uscita.

Una è di rendere funzionale l’Unione attraverso una vasta quanto improbabile riforma, effettivamente una rifondazione. L’altra, forse paradossale, è di aiutare la Germania a guidarla meglio. Strano a dirsi, c’è spazio per l’Italia nel ruolo, se volesse…

(Articolo tratto da Nota Diplomatica)


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