Skip to main content

Il Papa, Fanfani e il divorzio. Parola di credente

Premetto di scrivere di Chiesa e di Papa Francesco a semplicissimo e forse azzardato titolo di credente e praticante. Azzardato perché mi permetto alcune licenze non so fino a che punto compatibili con la presunzione di essere un buon cristiano. La licenza, per esempio, di distrarmi a messa da una predica troppo lunga o astrusa, almeno per il mio livello culturale. Che pure non dovrebbe essere considerato scarso per la professione che esercito, anche se spesso leggo colleghi con seri problemi di rapporto con la grammatica e la sintassi. Mi permetto inoltre la licenza di considerare inutile la confessione senza peccati gravi come l’assassinio, il furto, una cronica infedeltà coniugale e la bestemmia. Sì, anche la bestemmia, pur se sento pronunciarne di bestiali da uomini che, come me, non perdono una messa comandata, ma più di me si genuflettano e partecipano assorti ai canti religiosi.

Fatta questa premessa, e sperando di non aver perso con ciò il titolo vantato per scrivere della rivoluzione a vari stadi di Papa Francesco, mi chiedo che cosa avrà detto dall’aldilà Amintore Fanfani sapendo della sfoltita, chiamiamola così, data dal Pontefice alle procedure e ai requisiti dell’annullamento di un matrimonio religioso. Un annullamento che sbrigativamente ma efficacemente è stato definito, a questo punto, un “divorzio breve”, concorrente con l’omonimo appena approvato dal Parlamento per liquidare un matrimonio civile.

++++

Il povero Fanfani nel 1974 guidò con tale convinzione e intensità la crociata referendaria promossa dai cattolici contro la legge sul divorzio da rimetterci poi la segreteria della Dc. Egli aveva perso la battaglia così duramente da diventare in una celebre vignetta laica lo sbigottito tappo espulso a razzo da una bottiglia di champagne. Poteva mai immaginare, il pover’uomo, che dopo 41 anni sarebbe bastata a un vescovo la immaturità di un coniuge, all’atto del matrimonio, per sciogliere dopo anni un vincolo non più indissolubile?

Penso proprio che Fanfani non potesse immaginarlo. Diversamente, avrebbe fatto davvero di tutto per evitare la prova referendaria in difesa della indissolubilità anche civile del vincolo matrimoniale, a costo di farsi sbattere le porte in faccia oltre Tevere, dove quel referendum era stato preteso come prova di fedeltà. Egli sarebbe forse riuscito così a conservare la segreteria del partito, al netto di tutte le turbolenze abituali al suo interno, e soprattutto ad evitare agli equilibri politici del Paese una lunga serie di scosse: la fine, fra l’altro, del primo centro-sinistra, la maggioranza provvisoria di “solidarietà nazionale” con il Pci di Enrico Berlinguer, la cessione di Palazzo Chigi pur di riprendere i rapporti con i vecchi alleati di governo.

++++

A dispetto del carattere obiettivamente rivoluzionario della riforma matrimoniale voluta dal Pontefice, per rimuoverla dalle prime pagine dei giornali italiani è bastata la puntata di Porta a Porta dedicata da Bruno Vespa ai contestati funerali romani e al clan di Vittorio Casamonica. Che era peraltro considerato da familiari e amici “Papa” pure lui, “buono” come Francesco, ha detto la figlia del defunto spiegando la gigantografia del padre in veste pontificia innalzata durante i funerali di lusso destinati a diventare immagine della Roma di Mafia Capitale.

Nonostante il clamore provocato dal tema e dai personaggi scelti da Vespa per quella che Giulio Andreotti definì scherzosamente la “terza Camera” perché scelta molte volte per i loro annunci da politici di destra, di sinistra e di centro, bisogna riconoscere al conduttore televisivo il merito di avere per una sera strappato a Maurizio Crozza il primato della satira, per quanto involontaria.

Fra Vespa che definiva “sterminata” la famiglia Casamonica per sottolinearne forse le inquietanti dimensioni e la “matrona di borgata”, come l’hanno definita sul Foglioche reagiva ricordando che, morto il padre, peraltro per cause naturali, gli altri sono “tutti vivi”, la serata si è trasformata in quel felice ossimoro tradotto da Francesco Merlo, su Repubblicain “una comicità seria”. Una comicità pari allo scontro consumatosi fra gli ospiti abituali di Vespa, pronti a difenderlo dalle proteste levatesi contro di lui fuori e dentro la Rai, gli aspiranti ospiti, inclini al silenzio per guadagnarsi un invito, e gli esclusi abituali, severissimi nel criticarlo.


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter