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Usa-Iran, ecco come Obama ha messo nell’angolo gli scettici

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class, pubblichiamo l’analisi di Alberto Pasolini Zanelli pubblicata sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi

Per il trattato più famoso dell’ultimo decennio, quello fra gli Stati Uniti e l’Iran, è giunta l’ora della verità. Per mesi, anzi per anni, si sono contati gli argomenti in favore o contro. Adesso si contano le teste. I senatori repubblicani giovedì non sono riusciti a fare passare una risoluzione che avrebbe bloccato l’accordo sul nucleare siglato tra l’Iran e le principali potenze mondiali a luglio e che avrebbe portato a un braccio di ferro tra il Congresso e la Casa Bianca. I repubblicani al Senato non sono riusciti a raccogliere i 60 voti di cui avevano bisogno. Si sono fermati a 58 contro i 42 voti contrari alla loro risoluzione, questi ultimi tutti arrivati da democratici o indipendenti che generalmente stanno dalla parte dei conservatori.

La decisione è stata presa, dopo un dibattito di estensione quasi infinita, drammatico e al tempo stesso monotono: si è chiusa, non ufficialmente, quando è stato raggiunta in seno al Congresso di Washington una quota indispensabile. Non una maggioranza ma una minoranza, quella in grado, in obbedienza ad alcuni regolamenti particolarmente curiosi delle Camere americane, non di chiudere il dibattito ma di bloccarlo. Un voto, insomma, per impedire un voto. Una apparente bizzarria, uno dei tanti artifizi per mantenere quell’equilibrio fra i poteri che contraddistingue il sistema politico Usa, quella bilancia fra l’esecutivo e il legislativo.

In casi come questo, la Casa Bianca fa i trattati, ma questi devono essere ratificati dal Congresso. Se quest’ultimo boccia il documento o lo modifica e sconvolge fino a renderlo irriconoscibile agli occhi del presidente, questi può rifiutarsi di firmarlo usando del suo diritto di veto. Però il Congresso può, a sua volta, sormontare questo veto con un ulteriore documento. Senatori e deputati hanno dunque l’ultima parola? No, perché il presidente può sfidare il veto rivolgendosi di nuovo alla Camera e, in questo caso, gli avversari della legge devono raggiungere in ambedue i rami una maggioranza dei due terzi.

Il trattato in questione costituisce un perfezionamento e, in sostanza, un allargamento di un accordo precedente e provvisorio. Esso nasce, come tutto il mondo ha appreso a sazietà, dall’intenzione attribuita all’Iran di dotarsi dell’arma nucleare, dell’allarme che esso ha provocato nei Paesi vicini (soprattutto e più fragorosamente in Israele, ma in realtà anche nei paesi arabi vicini all’Iran) e, di conseguenza, all’America, legata allo Stato ebraico da un impegno di garanzia che non ha mai avuto bisogno di essere messo su una carta.

Un’alleanza mai in discussione, ma che ha provocato incomprensioni e dissidi, più clamorosi da quando Obama, arrivato alla Casa Bianca, si è impegnato a fondo per trasformare quell’accordo provvisorio con Teheran in un trattato vero e proprio, destinato a durare e a risolvere il problema. L’Iran si è impegnato a non costruire la bomba, l’America ha ricambiato promettendo di rinunciare agli embarghi e alle pressioni economiche molto forti che hanno finora reso impossibile una normalizzazione nei rapporti fra i due paesi. Di qui le opposizioni interne ed estere, derivate da considerazioni strategiche e opposizioni sui fatti e sui sospetti, che si rifanno, in sostanza, al contrasto fra due visioni nel futuro mondiale: i repubblicani a Washington, non solo per solidarietà con Israele ma per una propria visione del mondo dopo la fine della guerra fredda, intendono continuare a sfruttare il momento di quasi onnipotenza americana.

I democratici, in particolare Obama, ritengono invece che il mondo sia entrato in una fase nuova che deve essere articolata su nuovi equilibri e sul riconoscimento delle priorità di altre aree del mondo, in particolare l’Estremo oriente e il Pacifico. Argomenti dibattuti anche con veemenza. Basta ricordare la lettera di 47 senatori repubblicani su 54 indirizzata al leader supremo della Repubblica islamica dell’Iran, in cui lo si incitava a non concludere il trattato con l’America e a ignorare il documento che gli fosse presentato da Obama. Una vera e propria sedizione senza precedenti. Ma che oggi è fallita.


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