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Perché il Senato alla Renzi non sarà una Camera delle Regioni. L’analisi di D’Agostini

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Alcuni autorevoli commentatori del disegno di legge di revisione della Costituzione (Atto Senato n. 1429-B) in discussione in questi giorni al Senato, nell’intento di confutare un presunto carattere autoritario del combinato disposto della riforma costituzionale e del cosiddetto “Italicum”, hanno rilevato come il bilanciamento del governo si ottenga attraverso un rafforzamento dell’opposizione nella Camera dei Deputati oltre che della rappresentanza dei governi regionali nel Senato.

Al riguardo, senza voler entrare in questa sede nel merito della principale diatriba politica sul carattere autoritario o meno delle riforme in atto, mi limito a sottolineare come, volendo procedere ad una diversificazione tra i ruoli delle due Camere, si sia persa l’occasione di fare del Senato un’effettiva “camera delle regioni” creando i presupposti per la soppressione della Conferenza Stato-Regioni.

“Costituzionalizzare” le funzioni della Conferenza Stato-Regioni attribuendone i compiti al nuovo Senato avrebbe infatti offerto una “mission” a quest’ultimo (mission che non appare chiara dal disegno di legge n. 1429-B all’esame del Senato) e garantito, nel contempo, maggiore trasparenza ai procedimenti inerenti importanti decisioni politiche in materia di spesa sanitaria, ripartizione dei fondi strutturali e partecipazione delle regioni alla fase formativa del diritto comunitario (cosiddetta “fase ascendente”), solo per citare alcuni degli importanti compiti della Conferenza Stato-Regioni.

Quanto alla trasparenza non si tratta di muovere alcun rilievo all’attuale funzionamento della Conferenza Stato-Regioni ma semplicemente di quell’innegabile salto di qualità, sotto il profilo della conoscibilità degli atti e delle decisioni da parte dei cittadini, che si avrebbe nel “costituzionalizzarne” il modo di lavorare. Nonostante vada infatti di moda criticare il Parlamento come causa (a ben vedere caprio espiatorio) di rallentamenti nelle decisioni, è innegabile che dal sito Internet e dagli altri documenti parlamentari i cittadini possono avere visione, entro 24 ore (e spesso prima), dei documenti approvati, delle alternative proposte e di come si siano schierati i “decisori”, cosa che purtroppo non sempre avviene per altre istituzioni e organismi pubblici.

A taluni sembra sfuggire, tanto nel contesto del dibattito degli addetti ai lavori quanto sulla stampa, che l’articolo 5 del disegno di legge n. 1429-B, recante le modifiche costituzionali, all’esame del Senato, reca una disposizione che prevede che “Il regolamento stabilisce in quali casi l’elezione o la nomina alle cariche negli organi del Senato della Repubblica possono essere limitate in ragione dell’esercizio di funzioni di governo regionali o locali”. Ancorché tale disposizione non vieti espressamente la titolarità di cariche nei governi regionali e locali e la qualità di senatore, sicuramente sembra prefigurare un orientamento nel senso di tale incompatibilità o, almeno, di una incompatibilità tra la qualità di componente degli esecutivi regionali e la titolarità di organi del Senato (Presidente del Senato o una delle sue commissioni?).

Ora, se si delinea una tale incompatibilità, è realistico immaginare che i Presidenti delle Regioni possano mai accettare di delegare le importanti decisioni che oggi sono chiamati a prendere direttamente nella Conferenza Stato-Regioni ai loro colleghi consiglieri regionali componenti del Senato? E se tale situazione è vera, è realistico immaginare che si possa mai sopprimere la Conferenza Stato-Regioni a seguito della nascita del nuovo Senato? E quale sarà allora il ruolo, in sintesi, del nuovo Senato se la competenza essenziale per le leggi statali passerà alla sola Camera e la competenza sostanziale per i grandi temi di interesse regionale resterà alla Conferenza Stato-Regioni?

Aggiungo ai suddetti interrogativi, un ultimo interrogativo in materia di competenze regionali. Il disegno di legge di riforma costituzionale interviene sulla materia delle competenze concorrenti di cui all’articolo 117 della Costituzione vigente, che hanno dato luogo e decine se non centinaia di contenziosi tra lo Stato e le regioni, per tentare una razionalizzazione.

Senza tuttavia entrare nel merito dell’opportunità di disporre una differenziazione tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale, mi chiedo: a quanto nuovo e ulteriore contenzioso darà luogo il comma 12 dell’articolo 39 che prevede: “Le disposizioni di cui al capo IV della presente legge costituzionale non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino all’adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime”? In sostanza avremo due Costituzioni?

La nuova per le regioni a statuto ordinario e la vecchia per le regioni a statuto speciale? Esistono precedenti di coesistenza di una Costituzione abrogante e di una Costituzione abrogata nei Paesi occidentali? Non sarebbe stato preferibile avere un articolo “bis” che disciplinasse le norme applicabili alle regioni a statuto speciale?

Mi sono permesso di segnalare i suddetti interrogativi per offrire un contributo su profili che, nel vivo della discussione politica, sembrano sfuggire all’attenzione dei giornali.


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