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Immigrazione, ecco cosa succede in Slovacchia con le quote Ue

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Avendo la fortuna di saper leggere e comprendere agevolmente in lingua, ho nutrito una forte curiosità verso il modo di affrontare da parte della Slovacchia, alla quale sono legato, la questione dell’immigrazione.

È noto, stando ai fatti riportati dai media italiani, che la Slovacchia fa parte di quegli stati, assieme ad Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia che più contestano il sistema di quote promosso da Juncker. Martedì 22 settembre la Commissione Europea, che nel frattempo ha portato a casa una maggioranza di sì alla redistribuzione dei richiedenti asilo, cercherà di mettere all’angolo con la minaccia di sanzioni questi Paesi, sperando di portarli ad accettare le condizioni di solidarietà già parte dell’agenda UE. La Slovacchia, anche dinnanzi all’ipotesi di multe, ha risposto con un deciso no alle quote.

UN PASSO INDIETRO NELLA STORIA

Per capire meglio questa posizione così ferma è necessario fare un riepilogo storico ed uno più attuale e di stampo politico. Storicamente la Slovacchia si è già trovata a fronteggiare, più dell’Italia, il problema rom. In Italia la popolazione rom si stima essere circa dello 0,25% mentre in Slovacchia compongono l’1,7% del totale. Tale dato è però parziale in quanto non tiene conto anche di coloro che, sebbene di origine rom, sono da considerarsi nativamente slovacchi.

Includendo questi ultimi, almeno quelli censiti, si arriva, secondo la comunità rom slovacca, al 7,4% della popolazione. Esiste un rapporto dell’INESS – Institute of Economic and Social Studies, un think thank indipendente come l’Istituto Bruno Leoni – nel quale si afferma il popolo rom abbia un costo esiguo per la comunità slovacca. In questa ricerca viene considerato il peso a carico del cittadino delle seguenti forme di spesa previdenziale: Dávka v hmotnej núdzi a súvisiace príplatky, Prídavok na dieťa, Rodičovský príspevok, príspevok pri narodení dieťaťa, príplatok k príspevku pri narodení e Invalidný dôchodok, invalidný dôchodok z mladosti.

La prima forma di spesa citata è un sostegno al reddito rivolto a chi non supera la soglia di povertà, la seconda un contributo all’accudimento e alla crescita del figlio, la terza una sorta di bonus per i nuovi nati fino al raggiungimento del terzo anno di età e la quarta riguarda la pensione di invalidità. Il sostegno al reddito ha gravato nel 2013 – anno preso in esame dal rapporto INESS – per l’1% sulle casse dello Stato, di cui due terzi sono andati ad individui senza figli; il contributo all’accudimento dei figli non ha visto grosse differenze di distribuzione dei fondi fra contee con un tasso di abitanti rom censiti maggiore rispetto a quelle che ne avevano meno; il contributo per i nuovi nati fino al raggiungimento del terzo anno ha invece gravato per l’1,8%.

PREGIUDIZI COMUNI IN SLOVACCHIA E IN ITALIA

Malgrado questi dati vogliano far intendere che i rom non gravano sui bilanci di Stato, la popolazione slovacca li vede comunque con pregiudizio per le stesse identiche ragioni per cui non sono bene accetti fra molti italiani: vengono intesi come un’etnia incompatibile con lo stile di vita del posto e con una spiccata tendenza all’illegalità. Il numero di rom detenuti nelle carceri della Slovacchia di certo non contribuisce ad alleviare la forte diffidenza verso questo gruppo etnico, visto che arrivano a comporre quasi metà dei prigionieri totali, almeno secondo le dichiarazioni dell’anno scorso dello stesso premier Robert Fico.

In uno Stato che sta già facendo parecchia fatica ad accettare un insediamento ormai plurisecolare di una diversa comunità, viene ora richiesto da parte dell’UE di farsi carico di un’altra etnia che fino ad oggi da quelle parti non aveva quasi messo piede. L’immigrazione di origine medio-orientale è un fenomeno nuovo per quella Slovacchia che da sempre si divide fra ortodossi e cristiani, al punto che non vi sono nemmeno moschee. Forse si può accusare Robert Fico di cavalcare i timori dei suoi cittadini, ma questo non è tutto, in quanto certe prese di posizione nascono da considerazioni a mio parere legittime.

LA LOTTA PER L’AUTODETERMINAZIONE

Il governo slovacco, è giusto dirlo, è ideologicamente schierato verso la socialdemocrazia. In Italia i partiti con impronta maggiormente socialista sono anche quelli meno dubbiosi sul tema dell’accoglienza. C’è da dire, a tal proposito, che il percorso storico della Slovacchia l’ha vista lottare per diversi decenni a favore della propria autodeterminazione e quel sentimento è ancora vivo nelle menti e nei cuori delle persone più anziane. Questa difficile lotta in nome della propria indipendenza crea oggi un sentimento spesso contrastante verso l’Unione Europea e la cessione di quote di sovranità che l’aderenza a questa impone: il pensiero alla base, insito nei slovacchi, è che lo Stato se lo sono fatti loro e loro intendono gestirlo. Questo pensiero è trasversale: partiti europeisti e partiti euroscettici, partiti liberali e di matrice comunista, assumono tutti la stessa posizione dinnanzi all’idea di una quota obbligatoria di migranti da accogliere. Persino l’HID, partito che difende i diritti della minoranza ungherese, si dichiara d’accordo con la necessità di essere solidali, ma non con le quote.

L’OPINIONE DEL PREMIER SLOVACCO

Robert Fico sostiene che la redistribuzione pianificata non è una soluzione in quanto i migranti, per la maggior parte economici, in Slovacchia non vogliono semplicemente restare. Seppure accolti, sarebbero spinti dal desiderio di emigrare verso le zone europee più ricche, quali Gran Bretagna, Germania e Svezia e non glielo si potrebbe impedire in alcun modo. La soluzione sarebbe comunque puramente temporanea e non allevierebbe il problema, che presto o tardi esploderebbe nuovamente.

Richard Sulik, europarlamentare slovacco in capo al partito Sloboda a Solidarita (tradotto: Libertà e Solidarietà), arriva – facendo parte di un’altra fazione – ad argomentare che secondo i dati Eurostat il 70% dei richiedenti asilo sono uomini. Ciò significa – secondo lui – che solo una stretta minoranza di chi fa domanda di asilo si trova in situazioni di emergenza per la propria incolumità: la restante parte si fa raggiungere da moglie e figli non appena il capofamiglia si sistema. Ricorda, inoltre, come il Ministro del Lavoro tedesco Andrea Nahles ha sottolineato che il 90% dei migranti non si adatta, per competenze, al mercato del lavoro.

Va da sé che in un Paese con un tasso di disoccupazione del 12,1%, come la Slovacchia, e dove il numero di laureati è maggiore che in Italia, l’idea di essere costretti all’accoglienza con i costi iniziali che ne derivano e poi di non sapere come contenere questi nuovi arrivi nel proprio Stato senza che migrino altrove, con i problemi politici e sociali che deriverebbero dallo spingere i cittadini autoctoni ad accettare una cultura differente dalla propria la quale necessita, per retaggio, anche della costruzione di luoghi di culti fino a quel momento sconosciuti ai paesaggi, non fa per nulla gola.

Riflettendoci, per quale ragione ad un Paese orgoglioso della propria storia fatta di lotta all’autodeterminazione va imposto di accettare nuove persone, difficili da inserire nel tessuto produttivo?


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