Tre mesi fa, se non ricordo male, Giuliano Ferrara su il Foglio lanciò l’idea di un “Corpo volontario di sicurezza e fraternità”. Si può discutere sul nome, ma a me la proposta sembrò sensata. Provo a spiegarne il motivo.
Nonostante qualche passo in avanti e la svolta decisa da Angela Merkel, sull’immigrazione l’Europa continua a essere spaccata in due (e anche più). Temo, quindi, che ancora per lungo tempo saremo costretti a fare affidamento soprattutto sulle nostre forze, e ad affrontare l’emergenza in una sostanziale solitudine.
Il governo, allora, dovrebbe mettere in campo un grande progetto che segni in modo positivo l’esistenza di uno “stato d’eccezione”, per usare l’espressione coniata da Carl Schmitt. Nel suo articolo, Ferrara richiamava l’esperienza americana denominata “Peace Corps”, una forma di impegno civile nata con John Fitzgerald Kennedy nel 1961.
La storia del servizio civile negli Usa parte infatti da lontano, e si basa sull’incrocio tra impegno comunitario e incentivo pubblico. Si lavora per un gruppo, per un villaggio, per un territorio e ci si occupa di ambiente, povertà, alfabetizzazione, immigrati e di tutte le altre attività classiche che sono un pilastro della coesione sociale.
In Italia, di una sorta di “volontariato obbligatorio” (intelligente ossimoro) ne aveva parlato Ernesto Rossi già nell’immediato dopoguerra. Paolo Sylos Labini all’inizio degli anni Ottanta avanzò la proposta di un “esercito del lavoro” (sostitutivo della leva militare), coerente con la prospettiva di una società di cittadini attivi. Altro che reddito di cittadinanza!
Un anno e mezzo fa Matteo Renzi promise (non senza una certa enfasi retorica), accanto alla riforma del Terzo settore, la costituzione di un “Servizio civile nazionale universale” aperto ai giovani (anche stranieri), e finalizzato alla “formazione di una coscienza pubblica”. Non se ne è saputo più nulla.
Il presidente del Consiglio ha affermato che sulla questione dei migranti non si può più navigare a vista e che occorre cambiare rotta. Bene, ma allora perché non riprende in considerazione l’idea di un Servizio civile a sostegno della creazione di corridoi umanitari e di una rete di centri di accoglienza degni di un Paese democratico?
Essa mi pare tuttora – politicamente e culturalmente – più promettente del chiacchierificio inconcludente della sinistra buonista, una vera manna per Matteo Salvini.