Ma quanto costerà alla Volkswagen la truffa con i gas di scarico? E’ una domanda che i media tedeschi si pongono da giorni. Una risposta prova a darla lo Spiegel di questa settimana con la sua copertina. Sopra l’immagine che mostra una VW gialla in versione bara portata da sei uomini con cilindro e una corona di rose bianche si leggeva “Il suicidio”. Il suicidio della casa automobilistica più grande d’Europa, numero due nel mondo, ma anche, volendo interpretare la scritta “Made in Germany” sul nastro con i colori della bandiera tedesca, della reputazione del “German Engineering”. E di suicidio non è affatto esagerato parlare, se si prova a fare il conto di quel che la casa di Wolfsburg dovrà pagare.
Spiegel ha provato a sondare il terreno americano, quello più agguerrito. E lì Steve Berman, uno degli avvocati americani più quotati al momento, ha già portato in giudizio (vincendo) Toyota, Enron, Exxon, Visa, Mastercard, ha fatto due conti. Se una VW diesel costa in media 22 mila dollari, basta moltiplicare per 500mila acquirenti, e si ha la somma di 10 miliardi di dollari. Una cifra che si riferisce solo al costo causato dal ritiro dal mercato di tutte le macchine truccate. Fuori da questo computo restano la pena pecuniaria per frode, e le più che probabili class actions.
Ma non è solo oltre oceano che gli studi legali affilano le armi. Anche in Germania c’è chi si sta muovendo. Uno di questi è Dietmar Kälberer, avvocato di Berlino che da oltre 20 anni si occupa di diritto azionario e borsistico.
Come si è letto su Die Zeit online, Kälber intende avviare una “procedura modello”. Una procedura che, semplificando, si potrebbe descrivere come una versione rivista e corretta della class action americana. Per aprire questa procedura ci vogliono almeno dieci azionisti. Tra quelli che hanno aderito, viene poi scelto un caso modello sul quale si imposta e conduce il processo. La sentenza finale sarà valida per tutti coloro che hanno aderito (subito o successivamente) a questa procedura. A distinguere il modello tedesco da quello americano sono, in estrema sintesi, tre punti: a quello tedesco possono ricorrere solo azionisti; la richiesta di risarcimento deve corrispondere al danno reale (senza aggiunte di valutazioni economico/punitive); il cliente si accolla una parte dei costi proporzionalmente al danno subito e al numero di querelanti che partecipano alla procedura.
Sono già diversi gli azionisti che l’hanno chiamato, racconta Kläberer alla Zeit online. Lui ha tempo massimo un anno per avviare l’azione (perché successivamente cadrebbe in prescrizione).
Tra le accuse formulate contro VW c’è innanzitutto il fatto che i vertici non hanno informato agli azionisti dell’applicazione del software. La legge in proposito è però molto chiara: notizie del genere vanno immediatamente comunicate agli azionisti, visto che possono influenzare significativamente il valore del titolo, come ha dimostrato il crollo dello stesso in questi giorni da 162 euro agli attuali 100 euro.
Se il tribunale dovesse accettare questa argomentazione, dovrebbe però anche decidere a partire da che momento la VW avrebbe dovuto rendere noto questo escamotage. A voler applicare la legge alla lettera, dal giorno stesso in cui il primo software è stato applicato a una vettura.
Il che suona però abbastanza assurdo: è come chiedere a un ladro di avvisare la polizia mentre svaligia una casa. Più logico potrebbe essere un giorno di maggio del 2014, quando il ministero per l’Ambiente americano ha informato la casa automobilistica di aver avviato delle indagini sulla stessa. Oppure il 3 settembre quando i vertici della VW ammisero apertamente di avere truccato i valori delle emissioni.
Dalla data che il tribunale accetterà, dipende anche chi può partecipare a questa procedura o no. Perché solo chi ha comperato dopo questa data azioni VW può sostenere di averle acquistate a un prezzo superiore del valore reale. In aprile il titolo Volkswagen viaggiava sui 253 euro, il 18 settembre, giorno in cui è scoppiato lo scandalo, ne valeva 162,40.
Per chi vende ora azioni il valore è facilmente calcolabile, spiega ancora Kälberer, mentre chi decide di tenerle, deve prepararsi a un’altalena. I giudici terranno come valore di riferimento quello di acquisto. E così se nel corso del processo dovesse salire si ridurrà il valore del risarcimento, in caso contrario salirà.
Ma non è solo la VW che potrebbe confrontarsi con le richieste di risarcimento di migliaia di azionisti (non solo tedeschi, anche azionisti europei possono aderire a questa “procedura modello”). Anche Porsche rischia una “procedura modello”. Perché la Porsche Holding è una dei grandi azionisti di Wolfsburg e recentemente ha emesso nuovo azioni.
Inoltre rappresentanze di Porsche fanno parte del gruppo direttivo di VW. Difficile credere che non sapessero nulla di queste manipolazioni. E se invece ne erano informati allora avrebbero dovuto avvertire i loro azionisti, cosa che non hanno fatto. Kälberer alla domanda a quanto potrebbe ammontare il risarcimento che la VW potrebbe dover infine sborsare solo per questa “procedura modella”, dice tra i 2 e i 10 miliardi di euro.