Sulla contrattazione di prossimità ci giochiamo lo sviluppo economico e processi strutturali anche per la parità.
La discussione aperta tra Renzi, la Confindustria e il sindacato “de sinistra” ha una sua ragione d’essere e per la prima volta mi vede assolutamente d’accordo con i così detti (una volta) “padroni filo/governativi”. Sulle Pari opportunità dalle pagine di questa rubrica ho ricordato poche ore fa l’obiettivo che la UE si è ri/data in materia di politiche attive, segnando purtroppo ancora il passo sull’occupabilità femminile posto che nella Comunità e soprattutto in Italia non si smuove più di tanto. Anzi. Pari indipendenza economica per le donne e gli uomini; parità di retribuzione per lavoro di pari valore, parità nel processo decisionale, dignità, integrità e fine della violenza di genere e promozione della parità tra i sessi anche al di fuori dell’UE sono le priorità.
Sulla parità di retribuzione e salariale come già segnalato da autorevoli fonti, siamo abbastanza in difficoltà ma la soluzione può trovarsi appunto anche a livello nazionale e nel confronto UE sulla contrattazione di prossimità. Con la riforma del lavoro e l’agenzia unica nazionale per il lavoro, sia l’attività ispettiva che l’attività promozionale con le parti sociali non potrà più essere solo di tipo sanzionatorio ma prevalentemente e soprattutto deve essere ricondotto ad una emersione del lavoro poco e male retribuito, ad un rispetto del dettato costituzionale e dello statuto del lavoro, ad iniziative in azienda e sul territorio, perché in ambito istituzionale poiché dopo la Direttiva del 2006 della Ue e il nostro recepimento, le azioni di intervento per rafforzare le iniziative di politica attiva per irrobustire l’occupabilità sono ancora molto diverse e scollegate istituzionalmente tra di loro. Ma siamo convinte che fondamentale è il ruolo giocato in Italia dalla contrattazione integrativa nel determinare i salari che sarà vincente, poiché vi è un differenziale salariale di genere dimostrato da una corrispondenza negativa tra la presenza femminile in azienda e la probabilità che vengano adottati premi salariali di performance.
Gli interventi possibili per migliorare la situazione non sono semplici ma il risultato finale si otterrà dalla combinazione di più interventi come la flessibilità lavorativa per tutti uomini e donne per cui non è la presenza in azienda ma è il risultato che conta. Sicuramente si tratta di un problema che non si risolve lasciando libera azione al mercato. Requisiti necessari sono una volontà politica ed una spiccata sensibilità di genere soprattutto delle parti sociali. L’ambito prevalente su cui intervenire è la remunerazione materiale e immateriale del fattore tempo.
Fino a che la cultura aziendale premiante sarà ancorata al tempo quantitativamente speso sul lavoro, né donne né giovani, che hanno il diritto di costruirsi una qualità della vita, riusciranno a beneficiare di premi e percorsi di carriera ancorati al merito e soggetti a defiscalizzazioni, che rappresentano sia per l’azienda sia per le risorse umane un elemento di maggiore produttività. Fino a che la parte variabile del salario sarà il luogo principale della formazione delle discriminazioni indirette, il gap non si ridurrà. Sul sito del CESLAR è riprodotta e a disposizione di tutti, www.ceslar.unimore.it un piccolo ed essenziale foglio/guida per far capire alle lavoratrici e ai lavoratori come è composta la busta paga, la retribuzione e il salario e dunque insieme ai partners del mercato del lavoro, (organizzazioni datoriali, sindacali, consulenti) distribuiremo sui luoghi di lavoro questo strumento: conoscere dunque è un passo fondamentale per poi tutelarsi in caso di discriminazione e comunque rafforzare la contrattazione di prossimità con strumenti anche di welfare aziendale preziosi.