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Perché le aggressioni ai manager di Air France devono preoccupare

La lotta sociale in Francia sta imbarbarendosi. Il 5 ottobre scorso due dirigenti di Air France sono stati aggrediti, strattonati, malmenati e hanno rischiato di farsi linciare da un gruppo di scioperanti dell’azienda, in prevalenza CGT (CGIL transalpina). Le immagini del direttore del personale con la camicia strappata a cavallo di una rete metallica, in fuga dai rivoltosi, ha fatto il giro del web. Qualche tempo fa alcuni dirigenti di un’altra azienda furono sequestrati nei loro uffici e presi in ostaggio, durante una vertenza sindacale. E molti episodi di violenze di questo tipo si stanno ripetendo da qualche tempo in Francia.

Il 5 ottobre il Comitato Centrale di Impresa di Air France stava discutendo sul futuro dell’azienda; un gruppo di manifestanti ha fatto irruzione nella sala e ha violentemente interrotto la riunione; si è detto che la discussione avrebbe trattato il problema di 2900 esuberi in azienda, da studiare e approfondire. I direttori presenti sono scappati; due di loro sono stati presi e sono infine riusciti a fuggire, malconci. Sette persone sono rimaste ferite; cinque dipendenti filmati nelle violenze sono stati arrestati e andranno a processo il 2 dicembre prossimo.

Ora il problema è diventato politico; perché la CGT considera scandalosi questi arresti; perché il leader del Partito della Sinistra, Jean Luc Melanchon, ha dichiarato in tv, che questi arresti sono vergognosi, che lui è pronto ad andare in prigione con i cinque. “Per il momento è stata solo strappata una camicia; ma la camicia è ancora nulla…”, ha detto. Melanchon, naturalmente laureato in Filosofia, pied noir nato a Tangeri da genitori spagnoli, di mestiere ha fatto solo politica. Per tutta la vita ha solo cercato voti “de sinistra”, per così dire, e continua a cercarli. Un sondaggio dice che il 67% dei francesi condanna l’accaduto, l’8% approva l’operato degli arrestati, il resto condanna ma capisce. In sostanza il 10% dei francesi sarebbe d’accordo nel menare le mani su problemi sociali (attenzione che in questo caso non c’era neppure una vertenza aperta, solo un problema da studiare e valutare). Il governo ha tenuto una linea dura nel condannare le violenze, anche se invita l’azienda al dialogo sull’argomento, ovviamente.

Perché il fatto merita attenzione? Eravamo convinti in molti che la violenza nei dibattiti e nei conflitti sociali fosse ormai bandita. Purtroppo non è più così; e dobbiamo batterci per riconquistare il diritto al libero confronto, anche su questioni vitali come quelle legate al lavoro. A cominciare dal rispetto dei quadri e dei dirigenti che lavorano e sono dipendenti; ma per finire anche al rispetto di quelli che una volta si chiamavano “padroni” e che oggi sono imprenditori, impegnati in larghissima parte nel lavoro aziendale.

Dopo la Seconda guerra mondiale in molti Paesi europei ci fu nella sinistra il dibattito su “riforme e rivoluzione“ (si veda tra tutti Antonio Giolitti, Einaudi, 1957). Nel ’68 alcuni giovani idealisti riproposero le idee rivoluzionarie, che finirono per trasformarsi rapidamente in azioni terroristiche. Il romanticismo del Che in Europa rimase romanticismo. Credevamo che il riformismo, liberale o socialista che fosse, avesse chiuso il capitolo della violenza sociale o politica.

Questi fatti odiosi, accaduti in Francia, non devono essere considerati marginali e non possono essere sostenuti a cuor leggero ad una parte politica e sindacale di una repubblica libera e democratica. Anche perché si innestano in situazioni di violenza internazionale, economica e religiosa, che hanno sempre più pesanti implicazioni nei Paesi della vecchia Europa. La miscela delle violenze “esterne” con quelle “interne”, può avere effetti devastanti per la tenuta democratica di tutti i nostri Paesi. La “repressione” può essere pericolosa. E’ necessario che imprese, sindacato e politica condannino, senza incertezze, la violenza nei conflitti sociali,  la condannino nella pratica, non solo nelle dichiarazioni. L’incitazione alla violenza alla Melanchon (che ancora vuol giocare alla rivoluzione) è nemica dello Stato, libero e democratico, anche quando deve affrontare il problema di 2900 soppressioni di posti di lavoro. Non c’è populismo o ricerca di voti che tengano.


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