Giunti a questo punto mi faccio una semplice domanda: chi manovra le macchine che ormai giocano un ruolo così importante nel definire la salute dei nostri mercati finanziari?
La risposta più ovvia è: le persone.
Già, ma che persone? E soprattutto, come lavorano queste persone? Quali sono i principi che mettono alla base del loro operare?
La domanda, come vedete, ne nasconde tante altre le cui risposte finiscono col delineare una fisionomia che, essendo praticamente dominante sui mercati, può dirci molto sull’esito di questa inusitata rivoluzione nella quale la matematica ha di fatto surclassato la teoria economica. Chi pensa che i trader si basino sulla macro o micro economia per le loro scelte è legato a una visione tradizionale ormai in via di superamento.
Decido perciò di conoscere meglio queste persone, usando il metodo che ormai usiamo tutti quando vogliamo conoscere meglio qualcosa (e questo già dovrebbe farci pensare): la rete.
Girovago un po’ a caso e mi imbatto in una testimonianza che inizia a darmi alcuni indizi. Si tratta di una giovane con cinque anni di esperienza alla Getco, una delle tante compagnie di HFT che adesso ha cambiato nome, sulla quale non mi dilungo perché somiglia ai vari Terminator che abbiamo già conosciuto.
Più interessante leggere cosa scrive la nostra testimone. Racconta di essere stata reclutata dal MIT e di essersi trovata immersa in un ambiente di poche persone, ma enormemente soddisfacente, dove le difficoltà intellettuali erano compensate dalla soddisfazione nel risolverle. Dove c’era “molta matematica, teoria dei giochi, economia, tecnologia, scienza del computer e ingegneria”. La tecnologia usata è “cutting edge”, che potremmo tradurre come estrema o di avanguardia. L’HFT viene considerato come il driver di molti progressi tecnologici, fonte e utilizzatore di grandi quantità di dati”.
Il lavoro, spiega, somiglia a quello che fa Google Search: “Trovare segnali utili a prevedere ciò che altri users (non persone, ndr) stanno cercando è simile a cercare segnali per prevedere dove vadano i mercati”. Quindi il trader analizza segnali, non quantità economiche strictu sensu, un po’ come facevano gli uomini radar negli anni ’50, ai tempi della guerra fredda. Ed è fortemente influenzato dal comportamento altrui, cercando con l’analisi di prevederlo e quindi anticiparlo. Un comportamento tipico della teoria dei giochi, che, non a caso, è la seconda risorsa in ordine di importanza fra quelle citate dopo la matematica e prima dell’economia.
Sarebbe fuori luogo qui approfondire la teoria dei giochi. Ricordo solo che fu sviluppata sempre negli anni ’50, in piena guerra fredda, al fine di prevedere e anticipare il comportamento di un qualunque avversario, nella fattispecie erano i russi, basandosi su un semplice gioco mentale: ossia che i giocatori siano egualmente spietati e motivati nel raggiungere la vittoria e quindi disposti a qualunque calcolo e comportamento capace di soddisfare il presupposto della razionalità: la massimizzazione del profitto. Ossia la vittoria al gioco.
L’eco dell’uomo economico ottocentesco risuona forte, in questa teoria. E trova conferma in quel che racconta la nostra testimone: “E’ tutta una questione di risultati”. Non importa come ti comporti, né se segui il galateo aziendale. Nessuno ti dice ciò che devi fare purché rispondi all’obiettivo: make money trading. Se le tue idee funzionano fai soldi. Se non fai soldi non importa il tuo grado di seniority, né tutto il resto”. Con la sottolineatura che “l’HFT dà a tutti le stesse opportunità di diventare un top trader”. Sempre che tu sia un genio della matematica, della teoria dei giochi, eccetera.
Ed ecco un altro affastellato del nostro uomo economico contemporaneo: la capacità di far soldi diventa l’unico metro di misura della tua efficienza e quindi un derivato del tuo merito. Il mito della meritocrazia rivive nell’empireo del cloud, esattamente come l’uomo economico che lo sostiene.
Il trading, poi, “è una sfida costante” assai stimolante per le personalità che, come la nostra testimone, tendono ad “annoiarsi facilmente” e che amano essere “quantitativi e tecnici”. I quants, come li ha soprannominati un celebre libro di qualche tempo fa, amano anche distinguersi dagli altri traders, sentendosi come “una banda a parte” che fa parte di un’industria “cut-throat”, che mi piace tradurre con tagliagola, anche se risulta un po’ estremo, perché ha a che fare con “grandi quantità di denaro, la cultura del segreto e la competizione”. In pratica che amano partecipare alla grande guerra che si combatte per il conquistare il denaro.
La nostra testimone spiega che l’HFT ha una brutta reputazione sui media perché “le notizie sono finanziariamente incentivate a disinformare, generare controversie e provocare”. Ne deduco che, sicuramente a ragione, abbia una pessima opinione dell’informazione e fatico a darle torto. Ma pure che i trader algoritmici vivano con sofferenza l’essere considerati con nefandezza dall’opinione pubblica, che però perdonano in quanto vittima della loro ignoranza. Mi risultano alquanto aristocratici. Consapevoli però che “quando inizi a lavorare in finanza devi imparare a non curarti troppo di quello che pensa la gente”.
Ma la domanda migliore è questa: “Perché si dovrebbe persistere a costringere un uomo a fare ciò che gli esseri umani non sono i migliori a fare, cioè calcoli veloci e complessi, aggregare e analizzare terabyte di dati, presentare ed elaborare numerosi feed di dati contemporaneamente?”
Già, perché? L’incarnazione dell’uomo economico in una macchina che esalta la sua capacità di calcolo potenziandola infinitamente mi sembra l’esito ovvio di questa tecnologia.
Fra i vari commenti che leggo all’articolo ne trovo di entusiastici (“L’HFT è la cosa migliore che mi sia capitata”) che fra le varie ragioni di questo entusiasmo adducono la circostanza che sia “tutto scientifico” e che “le sfide in questo gioco siano immense” o che “il professional quant tranding è una stupefacente combinazione di matematica, psicologia, teoria dei giochi, teoria dell’informazione, delle probabilità, dell’entropia, vita, gioco d’azzardo, epistemologia e tecnologia”. Di economia non fa menzione nessuno. L’uomo economico contemporaneo, che vive dietro e dentro un computer, non sente di averne più bisogno e se la lascia alle spalle come fa un bimbo diventato grande, che misura la sua efficienza in termini di risposte al nanosecondo.
Una vita stressante, senza dubbio. Esplorando forum e commenti leggo di persone che lavorano fino a 18 ore al giorno, consapevoli di quanto sia dura. L’HFT “richiede ogni oncia della mia attenzione”, scrive un tale. Leggo anche di una compagnia che offre 136 mila dollari l’anno per un analista quantitivo, e poi, ormai immerso nella corrente delle chiacchiere, mi trovo quasi a invidiarli, questi super cervelloni che fanno soldi non per la passione dei soldi, ma della matematica che ci sta dietro, ossia del pensiero astratto. Alcuni dicono che lavorare per l’HFT “è gratificante dal punto di vista morale” e se molti non lo capiscono è solo perché “non trovano intuitivo il concetto di trasferimento del rischio”.
Altri, meno entusiasti, scrivono, dopo aver lavorato per anni nell’HFT di averlo odiato. “Praticamente ho fatto da baby sitter a un computer”, osservano. Ed è proprio questa immagine che mi lascia la seduzione più grande. Stiamo allevando computer, tenuti a bada da persone, uomini economici inconsapevoli, che si sforzano di diventare come loro, mentre maneggiano algoritmi scritti in logica di guerra.
Sta davvero sorgendo l’alba di Skynet sui mercati finanziari.
E non solo. Leggo un commento che mi apre un’altra finestra. Un tale consiglia ai trader HFT di abbandonare la finanza e usare i loro molti talenti per aprire una compagnia specializzata in diagnosi precoci. Gli algoritmi predittivi possono diventare una miniera d’oro in un mondo ossessionato dalla paura della morte. In fondo non c’è nessuna differenza ormai fra la durata di una vita e quella di un’obbligazione.
Almeno non ce n’è per l’uomo economico dietro al computer.
Twitter: @maitre_a_panZer