La manovra finanziaria 2016 del governo italiano rinvia la correzione dei saldi, riducendo soprattutto la pressione fiscale. Diversi aspetti potrebbero risultare sgraditi alla Commissione Europea, ma le Autorità italiane sembrano sicure di spuntarla senza grandi modifiche. Gli effetti sull’economia sono incerti, e dipendono soprattutto dall’andamento del clima di fiducia e dal contesto internazionale.
LE CARATTERISTICHE DELLA MANOVRA
Il comunicato stampa diffuso dopo la presentazione della legge di stabilità 2016 conferma che le note caratteristiche della manovra sono il peso attribuito alla riduzione delle entrate fiscali e la prevalente copertura finanziaria degli interventi con un maggior ricorso all’indebitamento, coerentemente con l’obiettivo dichiarato di iniettare fiducia nel Paese mediante una manovra “col segno più”, per usare l’espressione della conferenza stampa. L’effetto netto delle misure sulle entrate rispetto allo scenario tendenziale è pari a -19,2 miliardi (che potrebbero salire ulteriormente se il Governo ottenesse lo spazio per anticipare gli effetti della riduzione dell’aliquota Ires al 2016), bilanciato in piccola parte da riduzioni di spesa che, al netto delle misure che comportano maggiori uscite, valgono 5,3 miliardi. Ovviamente, la riduzione netta delle entrate si riduce a 2,4 miliardi se non si considerano le clausole di salvaguardia, e ciò dà una misura più precisa dello “stimolo” rispetto al 2015. L’indebitamento copre ben 14,6 miliardi su 26,5 (o 17,7 su 29,6 miliardi se la flessibilità venisse aumentata per le spese legate al flusso migratorio). Il deficit scenderebbe così dal 2,6 al 2,2-2,4%, invece che all’1,4% tendenziale.
PIÙ TAGLI MENO IRES
I provvedimenti annunciati riflettono le anticipazioni della vigilia: entrano nella manovra tagli alle imposte sugli immobili e su alcune tipologie di macchinari, l’ammortamento accelerato dei nuovi macchinari, un alleggerimento dell’imposta sostitutiva sulle nuove partite Iva, la riduzione dell’Ires dal 27,5 al 24% con decorrenza dal 2017, gli interventi di sostegno alle famiglie povere, una proposta di potenziamento della sicurezza sociale per i lavoratori autonomi, incentivi fiscali al part-time per i lavoratori anziani e la conferma parziale (40%) della decontribuzione per le nuove assunzioni nel 2016, con ulteriore riduzione nel 2017. La manovra 2016 può causare attriti con la Commissione Europea su diversi fronti: le previsioni di crescita 2016, significativamente superiori al consenso, la richiesta di uno ‘sconto’ per le riforme all’estremo più alto dell’intervallo previsto (0,5%), la richiesta di uno sconto ulteriore per la clausola degli investimenti (0,3%) che sommato al precedente implica un allentamento in termini strutturali, l’incidenza di misure che sono strutturali soltanto nella forma e il mancato spostamento della tassazione dal lavoro alla ricchezza. Secondo diverse fonti di stampa italiane, tuttavia, il Governo sarebbe sicuro di avere il sostegno politico per disinnescare il rischio di un parere negativo della Commissione Europea. D’altra parte, le sue non sarebbero le peggiori violazioni arrivate alla Commissione (i budget di Spagna e Francia appaiono ancora più deboli), e potrebbe far premio la necessità di Bruxelles di evitare derive populiste incontrollabili fra gli Stati membri che rendano ingestibile l’Unione.
PIÙ FIDUCIA (ATTESA)
Un problema tutto domestico riguarda invece gli effetti di questo rinvio del consolidamento fiscale. In primo luogo, la necessità di ridurre il deficit strutturale nel 2017, il fatto che la proiezione 2017 si regge ancora su aumenti “automatici” delle imposte indirette e il ricorso a poste una tantum per una parte della copertura, implica che anche la manovra del prossimo anno sarà di dimensioni importanti, superiori ai 25 miliardi di euro. Le stime molto prudenti sulla spesa per interessi potrebbero aiutare, ma ciò serve soltanto a guadagnare tempo. Secondo, la riduzione delle imposte è meno efficace se è percepita come temporanea: poiché si sta dimostrando che la parallela riduzione della spesa fatica a essere realizzata e poiché è evidente che la riduzione del debito necessiterà di un avanzo primario ben più alto di quello attuale, anche in uno scenario di ripresa bisogna mettere in conto che la riduzione delle imposte sulla casa sia in parte sterilizzata da un aumento della propensione al risparmio. Ciò è reso più probabile dal fatto che, diversamente dalle misure del 2014, gli sgravi non sono altrettanto concentrati sulle fasce di contribuenti con più alta propensione al consumo. Alla fine, perciò, a nostro avviso molto dipenderà dall’effettivo rilancio della fiducia che si realizzerà nei prossimi mesi – e dal manifestarsi di un contesto internazionale favorevole.