Due trilioni di dollari. A tanto ammonta la finanza islamica nel mondo che oggi, secondo Standard & Poor’s, si appresta ad affrontare tre sfide epocali. Ovvero, innanzitutto, il declino dei prezzi del greggio con tutto quello che implica per la performance economica dei mercati core – che sono gli stessi per petrolio e prodotti compatibili con la Sharia, i cosiddetti Sukuk, spesso definito come bond islamico ma che in realtà è una architettura complessa che deve aggirare il prestito diretto di denaro, vietato ai musulmani. Ci sono poi i rapidi cambiamenti normativi per banche e assicurazioni che coinvolgono l’Occidente ma che inducono a un ripensamento anche per la finanza islamica, per sua natura profondamente frammentata. E proprio questa parcellizzazione e la mancanza di una vera copertura globale rappresenta la terza sfida.
IL NODO DEL PETROLIO
Quali effetti avranno questi tre elementi di novità sulla finanza islamica? “La crescita della finanza islamica dovrebbe scendere a un tasso a una cifra nel 2016 rispetto al +10-15% dell’ultimo decennio”, afferma Mohamed Damak, responsabile della finanza islamica per S&P. Nel prossimo decennio il volume del comparto dovrebbe salire a 3mila miliardi. A patto che il prezzo del petrolio si attesti intorno ai 63 dollari al barile in media tra il 2016 e il 2018: se il barile dovesse viaggiare a un valore inferiore “pensiamo che i Paesi del Golfo, Bahrain, Kuwait, Oman, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iran e Malaysia – continua l’analista – possano tagliare la spesa per investimenti”, a causa del minor profitto generato dalle esportazioni dell’oro nero.
DOSSIER IRAN
Tuttavia, ci sono alcune sacche inesplorate di crescita potenziale: “Una è l’Iran – continua Damak – che è stato soggetto alle sanzioni per 35 anni, con conseguenti sofferenze per la performance economica e gli investimenti. Se e quando le sanzioni verranno rimosse, un significativo ammontare di progetti di investimento troveranno la loro strada naturale nell’industria della finanza islamica, alla ricerca di fondi. E il solo sistema bancario iraniano non può coprire per intero questi progetti”. Oltre all’Iran anche i governi dei Paesi del Golfo tenteranno di tenere il proprio livello di spesa e dunque potrebbero cercare fonti di finanziamento alternative. “Dall’inizio di agosto 2015 – si legge ancora nel report – il governo saudita ha emesso obbligazioni in valuta locale destinate agli istituzionali per un valore di 9,3 miliardi di dollari e ne emetterà ancora per far fronte al proprio deficit fiscale. Anche il Kuwait potrebbe seguire questa strada entro la fine dell’anno”. Tutto per finanziare gli investimenti: per quelli nelle infrastrutture “la finanza islamica rappresenta un partner ideale essendo basata sul principio degli abs”.
BASILEA E SOLVENCY, RISCHI E OPPORTUNITA’
Per quanto riguarda il quadro normativo, S&P fa riferimento in particolare a Basilea 3 e a Solvency 2 che “alzano l’asticella e rendono più difficile per le istituzioni della finanza islamica tenere il passo con gli sviluppi della finanza convenzionale”.
I nuovi quadri regolatori possono rappresentare un driver per la finanza islamica: “Ad esempio Basilea chiedendo alle banche europee sempre maggiori requisiti patrimoniali per aumentare la resilienza in caso di choc, mette in luce che le istituzioni per la finanza islamica siano carenti di strumenti di gestione della liquidità”. Pur esistendo uno standard, l’International Islamic Liquidity Management Corporation (Iilm) che in sostanza garantisce liquidità attraverso l’emissione di sukuk in dollari e breve termine e mira a costruire una curva del profitto della finanza islamica che la svincoli dalla dipendenza da altri tassi di interessi associati con strumenti convenzionali, non riesce a gestire la debolezza di un’industria enorme ma estremamente parcellizzata. Governi, banche centrali e altre organizzazioni ufficiali possono avere un ruolo in questa partita.
La pioniera è stata Bank Negara Malesia (Bnm) che è diventata la maggior emittente di sukuk per poi ritirarsi dal mercato in quanto questi strumenti non centravano l’obiettivo ultimo di garantire la liquidità. La banca centrale malesiana ha dirottato su altri strumenti più liquidi, sempre Sharia-compliant, avendo un enorme successo. E altre banche centrali ne seguiranno l’esempio secondo S&P. “Alcune banche degli Emirati e una saudita ci hanno già provato – conclude Damak – lanciando sukuk che possono entrare nel patrimonio di banche con i requisiti di capitale previsti da Basilea 3”. Questo approfondimento della gamma dei sukuk porterà diversificazione e migliori performance, infine, anche all’industria assicurativa takaful che è ancora piccola, concentrata su pochi asset a basso rischio e volatili.