La guerra dei cieli è solo all’inizio. Pechino, anche se un po’ in ritardo rispetto alle attese degli analisti, ha deciso che è giunta l’ora, dopo oltre sei anni di laboratorio, di sfidare i colossi Airbus e Boeing progettando il primo jet passeggeri interamente prodotto in Cina.
Il roll out del C-919, un velivolo a corridoio singolo da 168 posti, è avvenuto dopo un anno di lavori di assemblaggio presso la Commercial Aircraft Corporation of China (Comac) a Shanghai. Ma il primo volo di test dell’aereo, lungo 39 metri e con un’autonomia fino a 5.500 chilometri, non verrà effettuato quest’anno come inizialmente previsto ma almeno a metà 2016. E anche la stampa cinese ipotizza un nuovo rinvio al 2017, come scritto dal China Daily. Ritardi che fanno preoccupare soprattutto dal punto di vista della sicurezza, il primo dei requisiti necessari per vincere la sfida dei cieli. Altro è quello dell’affidabilità dei materiali: anche se i cinesi parlano di un prodotto interamente made in China, è certo che hanno contribuito al prototipo sia l’americana General Electric che la francese Safran.
La Comac parla di 517 ordini per il C-919, quasi tutti da compagnie nazionali, spiegando che ha già sviluppato un velivolo regionale da circa 80 posti. In verità lARJ-21 è ancora in fase di test in volo e non ha ancora la cruciale certificazione della Federal Aviation Administraion, indispensabile per volare nei cieli degli Stati Uniti. Quello che è certo è che il governo cinese ha capito l’importanza di un settore strategico come quello aeronautico e non esclude che l’obiettivo sia di arrivare a produrre in casa anche motori per l’aviazione civile. Non a caso la Export-Import Bank of China ha assicurato 8,2 miliardi di dollari per lo sviluppo del progetto.
Ma riuscirà il C-919 a fare concorrenza al 737 della Boeing e al A320 dell’Airbus? “Ho i miei dubbi, l’ambizione è ragionevole ma i cinesi non solo ci arrivano ma lo fanno con anni di ritardo”, spiega a Formiche.net Gregory Alegi, docente di Storia dell’Aeronautica presso l’Accademia Aeronautica e di Aviation Management all’Università Luiss, “ma poi sembrerebbero accontentarsi solo del loro mercato domestico che, per quanto grande ed importante, è un’ammissione di sconfitta o, meglio, di un primo passo ma da qui a sfidare Airbus o Boeing ce ne vuole”.
“Un aereo come il C-919 – continua Alegi – lo fanno Paesi come Brasile e Canada che non ambiscono ad essere delle super potenze commerciali. Restano delle domande di fondo: a chi lo vendono? Bisognerebbe poi guardare il contenuto tecnologico, il problema oggi non è fare aerostruttura, ma fare sistema: motore, elettronica, i sistemi di volo, di controllo e l’idraulica: da dove li prendono i cinesi? Per non parlare del supporto post vendita, relativo ad esempio ai ricambi, che è già complicato nel mercato occidentale, figuriamoci in uno “nascente” come quello cinese. E soprattutto il cliente, il mercato internazionale accetta che i cinesi ne sono capaci oppure no?”.
Dubbi che sono comuni a molti analisti del comparto, d’altra parte basta prendere il programma russo del Superjet, di cui fa parte anche l’Italia, per vedere come la sfida nei cieli spesso è più un titolo sui giornali che realtà. Non a caso il numero uno di Finmeccanica, Mauro Moretti parlando del programma Superjet non ha usato giri di parole: ha definito necessario “rivedere ruolo e termini del coinvolgimento di Alenia Aermacchi” nell’alleanza industriale e commerciale con i russi di Sukhoi che ha “richiesto significativi investimenti” ma non ha prodotto “significativi ritorni economici e industriali”, dice Alegi. In soldoni costa molto e, alla fine, rende poco.
“Per questo bisogna essere realisti – conclude Alegi – quello del C-919 è certamente un primo passo ma per vedere se sono in grado di fare una reale concorrenza, se saranno in grado di progettare macchine di nuova generazione occorrono almeno quindici anni e non solo gli annunci, che tali restano, soprattutto nel mondo dell’aeronautica”.