È randagio l’amore. Ha i tempi delle lunghe attese e l’eco di profondi silenzi. Ha le mani in tasca e se ne sta, spesso, dentro spalle chiuse. Si esercita con la distanza e l’incomprensione. Ha l’alito della nostalgia: dei battiti muti, dei sospiri.
È felino l’amore. La sua di liturgia è fatta di continui appostamenti. Balzi, corse, e scatti. Di passi indietro prima di coraggiosi affondi.
L’amore è fatto di strada. Di lampioni, gli occhi dolci del buio della notte. Umide corolle di fiori traboccanti di rugiada, con i loro riflessi complici che illuminano i marciapiedi dei centri storici facendo da registi a occhiate e moine.
Tu passi, avanti e indietro. Ora di sbieco, ora di fronte. Quindi, di spalle. E la cerchi. Guardi alla ricerca di uno sguardo. Tra le mille insidie: i riverberi inopportuni, le tende, le foglie di un rampicante.
Il più delle volte, randagio, te ne torni a casa. Solo. Con le mani in tasca, dentro spalle chiuse. Imbocchi un vicolo, dove ti si fa incontro un gatto. Lui, il felino, si ferma per un istante. Ti guarda. E in quel suo modo di piegare la bocca verso di te, leggi un segno d’intesa. Come fosse la sua pacca sulle spalle. Lui, felino e randagio, che conosce tutto dell’amore.
p.s: un grazie allo scatto di Veronica Garra. L’idea di questo frammento è sua.