Leggo tutto d’un fiato un pregevole intervento del nostro governatore della banca centrale Ignazio Visco a una conferenza organizzata da UBS a Londra pochi giorni fa. E mi appassiona, della ordinata narrazione che Visco fa del nostro tempo economico, la pedissequa riproposizione di un’analisi ormai assai comune circa le cause e gli esiti della nostra situazione, che trovo quasi rassicurante.
Visco ci ricorda tutto quello che bisogna ricordare per essere cittadini informati nel nostro tempo economico. Innanzitutto la circostanza che la crisi ha messo e sta mettendo a dura prova la stabilità dei prezzi nelle principali economie, e perciò questionando profondamente l’abilità delle banche centrali a farvi fronte. Il timore che i prezzi bassi finiscano per disancorare le aspettative di inflazione, che con molta fatica le banche centrali provano ad orientare verso gli obiettivi dei loro statuti (il 2% l’anno, all’incirca) è infatti la ragione ufficiale delle politiche monetarie espansive messe in campo, a cominciare da quelle delle Bce.
Poi certo, ce ne sono altre. Le banche centrali si sono fatte carico di sostenere, con i mezzi di cui dispongono, l’economia nella sua crisi peggiore degli ultimi 80 anni, facilitando con l’allentamento monetario il disindebitamento della banche e provando a fare arrivare credito agli operatori, orientando insieme al ribasso il costo del debito anche per gli stati. Col proposito di contribuire alla crescita.
Visco ci ricorda che alcuni studi svolti dalla Banca d’Italia quotano in circa un punto percentuale in più in due anni l’impatto del QE sul prodotto dell’EZ e dell’inflazione. Il che somiglia a una boccata d’ossigeno in un momento in cui la crescita appare ancora stagnante e l’inflazione decisamente orientata al ribasso, anche a causa dei cali petroliferi.
Agire contro il ribasso dell’inflazione, inoltre, si è reso necessario per evitare che il calo dei prezzi attivasse il meccanismo di debt-deflation che rischia di avere esiti tragici in economie pesantemente indebitate come le nostre. E pazienza se per il momento al ribasso dei tassi si è accoppiato un sostanziale rialzo dei debiti. L’importante, sembra di capire, è che siano sostenibili.
A fronte di questa narrazione, che ormai si iscrive d’ufficio nel mainstream, poco può fare la banca centrale se non proseguire la sua azione di allentamento. Difatti Visco, dopo aver rilevato i progressi fatti sul versante degli spread e dell’erogazione di credito, ha confermato che nella riunione della Bce di dicembre si potrebbe considerare un “cambiamento nella grandezza, la composizione o la durata dell’APP”, compresa la possibilità “di abbassare ancora i tassi sui depositi” presso la Bce. “Finora – spiega – l’introduzione di tassi di interesse negativi nell’area non ha causato problemi. altri paesi non sembrano aver sperimentato difficoltà nell’abbassare i tassi fino al territorio negativo”. Finora.
Ma d’altronde Visco è ben avveduto circa i rischi che tali politiche, se prolungate, possono provocare. Il problema è che finora non si vede alternativa. Ed è per questo che la conclusione del governatore merita di essere riportata integralmente.
“Vorrei concludere – dice – con l’ovvia notazione che la politica monetaria non può garantire una crescita forte e duratura da sola”. Una considerazione che le banche centrali ripetono praticamente da quando esistono. “In mancanza di una capacità fiscale comune, la domanda dell’area euro deve trarre sostegno da un uso ragionevole delle flessibilità esistenti all’interno dei limiti delle regole di bilancio europee. Allo stesso tempo, la creazione di nuove entrate, nuova domanda, e nuovi posti di lavoro deve essere supportate da misure e riforme progettate per aumentare la produttività e rafforzare il potenziale di crescita“. Quindi, essendo limitati gli spazi di azione sul lato della domanda, sembra di capire, bisogna far leva sulle politiche sul lato dell’offerta per aumentare la produzione e quindi la ricchezza, in coerenza con la visione convenzionale che vuole le due cose praticamente sinonimi.
Con un’avvertenza: “Queste riforme devono tenere in considerazione i cambiamenti strutturali che caratterizzano il nostro “mondo nuovo”, compresi gli sviluppi demografici, la nuova ondata di progressi tecnologici e i cambiamenti climatici. “Abbiamo di fronte a noi un’espansione marcata nelle attività che richiedono qualificazioni esperte e nuovi profili professionali, ma al tempo stesso è possibile che le possibilità di impiego nei settori più suscettibili all’automazione e alla crescita dell’economia digitale si riduca, anche considerevolmente”. Quindi gli ultimi rischiano di diventare gli ultimissimi. Il tutto in un contesto in cui la ricchezza è sempre più concentrata, e le possibilità di istruzione di qualità, che dovrebbe garantire un reddito, decente pure.
Allora mi viene in mente un altro “New World” che non è quello che immaginano le Banche centrali. Ma quello di Huxley.
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