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Come cresce la montagna dello Shadow Banking

Che lo Shadow Banking fosse un fenomeno in rigogliosa crescita era facile immaginarlo. Sicché non mi sorprendo mentre leggo l’ultimo Global shadow banking Report, rilasciato dal FSB, Financial stability board, che semplicemente ne prende atto.

Più interessante notare come tale fenomeno sia in crescita nelle economie emergenti assai più che in quelle avanzate. Ossia in quella parte del mondo che oggidì suscita le maggiori preoccupazioni fra gli osservatori per una sequela di ragioni che conosciamo bene.

Mi sorprendo invece quando scopro che nella piccola Irlanda, come sempre all’avanguardia nell’innovazione finanziaria, le banche ombra ormai gestiscono asset che sono parti al 1.190% del Pil. Ma chissà da quanto tempo va avanti questa storia. Non lo sappiamo perché questo è il primo anno che il FSB include anche l’Irlanda nella sua ricognizione. Sappiamo però che l’Irlanda, insieme con la Cina e gli Stati Uniti sono i paesi che più degli altri hanno contribuito alla crescita di queste pratiche nel 2014, anno cui il rapporto si riferisce. Gli Usa, per quanto in lieve calo rispetto al 2010, sono il Paese il cui settore ombra gestisce il 40% del totale di asset globale.

E sappiamo pure che nel complesso le 26 giurisdizioni osservate non esauriscono il fenomeno. Ce ne sono altre, che non sono al momento censite, e che gestiscono chissà quanti miliardi di dollari senza che nessuno le osservi.

Per quanto non esaustiva, tuttavia, l’analisi del FSB è molto informata. Anche perché da quest’anno nella rilevazione sono stati compresi anche i fondi pensione e le assicurazioni. Per entrare nella logica del report serve un po’ di approfondimento, però i dati macro sono già di per sé abbastanza eloquenti.

I grafici mostrano che lo Shadow Banking, seguendo la nuova classificazione elaborata dal FSB, valeva a fine 2014 36 trilioni di euro, pari a circa il 59% del Pil delle 26 giurisdizioni considerate e al 12% degli asset finanziari dell’area considerata. Questa montagna di ricchezza è cresciuta di quasi dieci trilioni dal 2010, dimostrandosi non solo resiliente, ma persino vitale. Più dell’80% di questi asset risiede negli Stati Uniti, l’Asia e il Nord Europa.

E’ interessante notare che le OFIs (other financial intermediaries), tipo i fondi di risparmio o i fondi monetari, gesticono 68 trilioni, cui si agiungono altri 27 trilioni di asset delle compagnie di assicurazioni e 29 trilioni dei fondi pensione. Il totale di queste voci superare quello degli asset totali gestiti dalle banche delle 26 giurisdizioni considerate, che ormai quota 135 trilioni di dollari. E’ utile sapere altresì che le OFIs, specie in alcune giurisdizioni, mostrano di essere profondamente esposte per il canale del credito e del funding con le banche ove risiedono.

Sempre gli amanti degli aggregati, è bene sapere che quello cd MUNFI (Monitoring Universe of Non-bank Financial Intermediation), che comprende le OFIs, i fondi pensione e le assicurazioni, che però è riferito a 20 giurisdizioni e non a 26, è ormai arrivato a 137 trilioni, in crescita del 9% nel 2014, corrispondendo a circa il 40% del totale degli asset di questi paesi. Una crescita cui ha fatto da contraltare le decrescita degli asset nel sistema bancario. Insomma: viene confermato lo spostamento di ricchezza dagli intermediari bancari tradizionali a quelli non bancari, guidata come è presumibile dalla fame di rendimento. Ciò può dedursi dalla notevole crescita delle OFIs, dove si concentra ad esempio il risparmio gestito, in aumento del 15% dal 2011 e ormai vicino al suo livello pre crisi.

Tale tendenza si riscontra anche negli Emergenti. Nel 2014 in otto di questi paesi le OFIs sono cresciute a tassi superiori al 10%, e in due di questi addirittura del 30%. Dal che il FSB deduce che sia necessario “monitorare il potenziale rischio sistemico di una rapida espansione del settore non bancario” in queste zone. Fra queste non poteva mancare la Cina, dove continua imperterrita la crescita delle Trust companies (+26% nel 2014), aziende che gesticono risparmi dei cinesi investendoli in asset sovente collegati al settore immobiliare.

Rimane ancora poco approfondita la questione degli Hedge fund. Si attende la prossima survey dello IOSCO, che dovrebbe essere disponibile a fine anno, per sapere con maggiore precisione quale sia il peso specifico di queste entità nell’universo dello Shadow Banking.

Per ora possiamo contentarci di una semplice evidenza. La ricchezza fuori dalle banche sta aumentando sempre più e viene gestita da organismi che si comportano come banche senza essere regolati come banche. Ciò pone evidenti rischi sistemici al gioco della finanza globale.

E poi un’altra cosa: la quantità di asset globali, sommando banche e MUNFIs, ormai supera i 260 trilioni di euro.

C’è talmente tanta ricchezza che la gente muore di fame.

Twitter: @maitre_a_panZer


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