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Sono giovane e bello, mi chiamo Kim e gioco con i missili

Eccoli di nuovo. Questo deve essere stato il primo pensiero di  Xi Jinping. Il nuovo boss del partito comunista credeva di poter uscire in punta di piedi dal 2012. Anno di tensioni, scandali e compromessi strappati coi denti quello che se ne va per l’Impero di mezzo. Una delle poche belle notizie per il leader di Pechino era quella che gli avevano scodellato davanti i propri servizi segreti. Il collega della Corea del nord pensava di rinviare l’esperimento del lancio del “satellite”. Molto buon senso e altrettante buone ragioni dietro il pio desiderio degli 007 cinesi. Perché non avrebbe dovuto crederci Xi Jinping? Lui e Kim Jong-un sono più o meno entrambi “nuovi”. E, si sa, tra nuovi ci si capisce al volo. Le rispettive consorti poi facevano a gara nell’apparire più glamour del possibile. Certo il “caro leader” versione baby, aveva conservato quell’abitudine cosi disdicevole delle purghe. Non a prenderle ovviamente ma a darle. Ogni tanto qualcuno, cosi di botto, cambiava lavoro. Non un caso di carriera sembra. Forse pensava Xi Jinping è solo una fase turbolenta della gioventù.
Errore. In troppi, non solo l’uomo che da circa un mese è salito sul trono della futura potenza mondiale, sembrano aver dimenticato quel detto, forse un po’ troppo tradizionale, che ricorda come  natura sia sempre natura. E nessuno può sfuggire alla propria.
A Pechino per esempio il presidente dello Stato e segretario di partito non è figlio del figlio del figlio, ma viene eletto. Certo in base a trattative che iniziano quando si insedia il futuro predecessore e durano quanto il mandato il mandato di questo. Ma sempre eletto.
A Pyongyang al contrario un risultato di questo tipo sarebbe più vicino all’eresia che al rito.Vuoi mettere i vantaggi di una bella dinastia che dal 1948 vede sempre la stessa famiglia al potere?
Hai voglia di guerre, carestie, crisi. Tre sono le cose che a Pyongyang proseguono immutate. Primo, comanda sempre Kim. Secondo, nel kwaliso gli “ospiti” sempre circa 200mila, persona più persona meno. Terzo, prima o poi la Corea del Nord guarderà da pari a pari negli occhi la superpotenza globale Usa. Un obiettivo questo diventato una paranoia. E come raggiungerlo se non armandosi fino ai denti di ordigni atomici in grado di colpire il più lontano possibile, mettendo ansia a tutti, nemici ed amici senza eccezione? Perché allora come scrive Business Insider tutti ora sono stupiti del lancio del “satellite”?
Perché nessuno ha creduto alle foto del Washington Post che con un altro satellite (questo buono però), documentava il luogo da dove avrebbe spiccato il volo l’altro, il “satellite” cattivo? Perché tutti come ha sottolineato al WaPo, Joel Wit del think tank, 38° parallelo, erano disposti a credere che un Kim Jong-un rilassato si sarebbe preso il proprio tempo proprio come faceva vedere mentre passeggiava con la sua signora per le strade di Pyonyang? Paradossale che alla fine l’unico a dire chiaramente che possa essere stato proprio il leader comunista educato agli arcana imperii del segreto di Stato. Cosa faceva invece chi al contrario doveva capire quello che stava accadendo? Credeva di trovarsi di fronte all’ennesimo gioco di simulazione e dissimulazione tipico di chi ritiene la stabilità il bene supremo per cui vale pagare ogni prezzo? Anche quello di smettere di pensare, non prendendo nemmeno in considerazione la possibilità che alla transizione politica la Corea del nord avrebbe fatto seguire la transizione nucleare.

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