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Perché il futuro di Isis si gioca in Siria

putin russia

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Alberto Pasolini Zanelli apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Negli ultimi giorni, anzi nelle ultime ore, la situazione tra i paesi della Nato e la Russia si è complicata ulteriormente un po’ dappertutto, come se fosse legata da un immenso nodo gordiano che dal Medio Oriente si estende in tutte le direzioni. Nelle ore della visita del presidente francese a Mosca e in quelle immediatamente precedenti si sono verificati, fra l’altro, i seguenti fatti nuovi.

In diversi paesi e in moltissimi inciampi nella campagna contro l’Isis. A cominciare dall’abbattimento da parte turca di un aereo militare russo intento a colpire le posizioni degli integralisti nel nord della Siria. Dovuto a un fuoco di interdizione in risposta a una micro violazione dello spazio aereo turco, durato 17 secondi in tutto. E seguito da un violento scambio di accuse. Che hanno portato in superficie uno dei problemi fin qui sotterranei della zona: quello dei turkmeni o turcomanni. Di cui la Turchia si proclama protettrice. Quasi contemporaneamente un’altra minoranza è balzata, anzi ritornata, in primo piano: i tartari, quelli della Crimea, una delle minoranze nei secoli in cui la regione era dominata dalla Russia. Ribelli durante la seconda guerra mondiale, i tartari furono barbaramente perseguitati da Stalin, prima di essere regalati da Nikita Krusciov ai suoi compatrioti ucraini e di ritornare alla Russia dopo la disgregazione dell’Urss.

Oggi i tartari sono l’opposizione più organizzata e combattiva e hanno scelto questi momenti di tensione per effettuare atti di sabotaggio contro la rete elettrica della loro area e di parte dell’Ucraina. Ciò segnala una ripresa delle ostilità fra russi e ucraini, con rapido scambio di contromisure: dalla Crimea senza luce, al boicottaggio di Kiev del petrolio russo, alla sospensione delle forniture di gas. Uno scambio che danneggia entrambi i paesi, conseguenza e segno di una ripresa delle ostilità dopo l’armistizio firmato a Minsk.

Evento non proprio nuovo se non fosse evidentemente collegato ad altri sviluppi e ostilità in altre aree, che ha portato rapidamente a scontri militari. E anche alla resurrezione di un’antica questione territoriale che riguarda una provincia della Turchia a popolazione mista fra musulmani e cristiani, storicamente centrata sull’antica città di Antiochia, passata con la disgregazione dell’impero romano, dopo la prima guerra mondiale, alla Siria, allora sotto mandato francese. Vecchi rancori che non solo ritornano, ma si estendono, a tutto vantaggio di quello che dovrebbe essere il nemico comune contro il quale Hollande va in giro per il mondo a invocare unità, sempre a rischio a causa del moltiplicarsi degli incidenti.

I protettori occidentali della Siria, e quindi baluardo contro l’Isis, continuano però a perseguire la caduta del regime di Damasco per sostituirlo con una democrazia auspicata, ma non in vista sui campi di battaglia. La presenza russa nella grande alleanza invocata da Parigi si fa sempre più ardua in vari campi. Negli ultimi giorni il governo americano ha imposto sanzioni al presidente (russo) della Federazione mondiale degli scacchi, accusato di fare affari con il dittatore siriano Assad, mentre il campo petrolifero si segnala più surreale nei paradossi: la vendita di petrolio dall’Isis a una ditta siriana fedele al governo.

Decisioni non facili da spiegare all’estero, ma considerate evidentemente necessarie nella fase attuale della campagna elettorale americana. Obama è più che mai sotto il tiro dei repubblicani proprio per gli scarsi risultati finora ottenuti nella lotta contro l’Isis, accusato di debolezza anche all’interno del suo partito, a cominciare da colei che quasi certamente ne sarà il candidato il prossimo novembre, Hillary Clinton. E intanto l’area coinvolta nella guerra continua a estendersi: gli Emirati Arabi Uniti, sostenitori dell’Isis, hanno spedito nuovi mercenari sul fronte dello Yemen. Arruolandoli in Colombia.


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