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Il conto della crisi: i cittadini pagano più tasse, le imprese di meno

Qualche giorno fa l’Ocse ha rilasciato un’informazione assai preziosa per capire lo spirito del nostro tempo e stimolare le riflessioni di chi è chiamato a interpretarlo. Il succo, evidente già nel titolo della release, è che le entrate fiscali che arrivano dalle aziende sono diminuite, nell’area di riferimento, a fronte di un aumento globale della tassazione.

Ciò significa, e non serve essere economisti per capirlo, che è aumentato il peso delle tasse sugli individui. Ed è anche facile capire perché: mentre le corporation hanno a disposizione tutti gli strumenti, tecnici ed economici, che consentono loro di sfruttare gli arbitraggi regolatori – ossia i diversi regimi fiscali esistenti nei paesi dell’area – il privato cittadino paga le tasse dove si trova. A meno che non sia talmente attrezzato da potersi pagare un professionista bravo a fargli eludere legalmente quando dovuto.

La questione non è da sottovalutare. La media degli incassi fiscali derivati dalle aziende, fra il 2007 e il 2014, è diminuita dal 3,6 al 2,8% del Pil dell’area, parliamo quindi di decine di miliardi di dollari. Al contrario, gli incassi fiscali provenienti dai privati sono aumentati dall’8,8% all’8,9, relativamente alle tasse sul reddito, mentre la tassazione indiretta (VAT) è cresciuta dal 6,5 al 6,8%.

Ciò dovrebbe suscitare qualche domanda e parecchi dubbi, su quali siano i veri protagonisti dell’elusione e dell’evasione fiscale. Anche perché i dati raccolti dall’organizzazione mostrano che la pressione fiscale globale è aumentata, nel 2014, arrivando al 34,4% del Pil, lo 0,2% in più rispetto al 2013 ed è un trend che prosegue sin dal 2009, quando la pressione fiscale era al 32,7%.

Il grosso degli aumenti si è concentrato sulle imposte indirette, che in media sono cresciute dal 17,7% al 19,2, e su quelle sul reddito, cresciute in 22 paesi sui 34 dell’area. Anche le imposte immobiliari e sulla sicurezza sociale (i contributi) hanno subito incrementi, anche se inferiori.

Degna di nota anche l’osservazione che il declino degli incassi fiscali arrivati dalle aziende, che vale 1,2% del Pil Ocse, è stato compensato dall’aumento della contribuzione sociale, dall’8,5% al 9,2% in media, oltre che dall’aumento delle entrate sulle imposte indirette. Ciò vuol dire che i risparmi delle aziende sono stati pagati dai cittadini.

Insomma: gli stati, sempre più affamati di denaro per ragioni ormai notorie, stanno spremendo sempre di più i loro cittadini e chi può – e segnatamente le aziende più o meno grandi – sfugge.

Gli appassionati dei confronti internazionali potranno trovare nei documenti Ocse di che saziarsi. Notare ad esempio che il rapporto più alto fra tasse e Pil lo subiscono i danesi, con il 50,9%, seguito dalla Francia, con il 45,2 e il Belgio, 44,7. Oppure che il rapporto più basso ce l’ha il Messico, con il 19,5% seguito dal Cile, con il 19,8. Poco sotto gli Usa, che stanno al 26%. O che la Spagna è uno dei pochi paesi in cui il rapporto è diminuito, dal 2007, dal 36,5 al 33,2 del 2014. E ciò malgrado le note difficoltà spagnole.

Ma non sono le curiosità statistiche che dovremmo notare. Ciò che a me pare importante è che c’è una notevole creazione di ricchezza, in gran parte derivante da attività immateriali, che sfugge alla tassazione e che arricchisce le corporation mentre nelle città i redditi dei cittadini agonizzano. E che tale situazione è destinata a durare, mancando un’autorità internazionale di regolazione che armonizzi i regimi fiscali.

Chi si interroga su dove gli stati potrebbero trovare i fondi per sostenere il reddito dei propri cittadini, potrebbe trovare in questi dati un indizio di risposta.

Purtroppo la domanda non se la pone nessuno.

Twitter: @maitre_a_panZer

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