Il settimanale Times ha eletto Angela Merkel “cancelliera del mondo libero”. Un riconoscimento inatteso. La sua dottrina del risparmio, del fare i compiti a casa, concedendo poco a incentivi congiunturali per far uscire l’Eurozona dall’impasse in cui è finita in seguito alla crisi economica. È stata duramente criticata per una strategia “lacrime e sangue” che agli occhi di molti economisti (anche tedeschi) non avrebbe che acuito la crisi, con la conseguente perdita di altre centinaia di migliaia di posti di lavoro nel Vecchio continente. Poi però l’Europa si è ritrovata al centro del flusso di centinaia di migliaia di profughi in fuga dalla guerra civile in Siria, dalla miseria e repressione in Eritrea, dal terrore che l’Isis semina in Iraq e Siria e non solo.
E di fronte a tutto ciò la Merkel, per la prima volta in dieci anni al governo della Germania, ha abbandonato il tracciato sicuro dei “piccoli passi”. In una conferenza stampa di fine agosto ha detto, riferendosi all’ondata di profughi che si stava riversando nel Paese: “Ce la possiamo fare”. Per molti, anche in Germania, dire quella frase è stato come aprire gli argini di una diga. Nella repubblica federale le critiche più decise si sono levate dai cristianosociali guidati da Horst Seehofer. In Europa sono soprattutto i Paesi dell’Est a ribellarsi ai “diktat tedeschi”, all’idea di quote di distribuzione. Ma c’è anche chi guarda con ammirazione e stupore alla Merkel in questa nuova veste di “Chancellor of the World”.
Angela Merkel ha usato il congresso nazionale della Cdu, tenutosi il 14 e 15 dicembre a Karlsruhe, per dare forma a quella che è la sua visione del futuro della Germania e dell’Europa in questi tempi tutt’altro che semplici.
[youtube]www.youtube.com/watch?v=tdnJXpBUw2Q[/youtube]
Pubblichiamo la prima parte del discorso della cancelliera tedesca Angela Merkel
Il 2015 è stato un anno incredibile, un anno quasi inimmaginabile. Certo anche negli anni passati sono accadute molte cose. Ma per quel che mi riguarda non ho mai assistito prima a un susseguirsi così di eventi determinanti e gravosi.
A gennaio ci sono stati gli attentati contro Charlie Hebdo e un supermercato kosher a Parigi. L’odio cieco del terrorismo internazionale ha fatto 17 morti. Gli attentatori di Parigi hanno suscitato in ogni persona dotata di empatia ripugnanza e disprezzo. Un mare di persone a Parigi, a Berlino e altrove ha preso chiaramente le distanze, ha pronunciato un no chiaro e deciso nei confronti della logica ammalata dei terroristi. Cristiani, musulmani, ebrei o atei non si sono fatti dividere; hanno manifestato tutti insieme. È questo è stato un atto di grande importanza.
A febbraio. 17 ore di dibattito, una vera maratona, a Minsk per far ritornare la pace in Ucraina. La posta in gioco era, nonostante si tratti di un paese così vicino, nonostante si tratti di Europa, niente meno che guerra o pace. In gioco erano i principi elementari su cui si regge l’Europa, cioè quelli della pace. Il diritto all’autodeterminazione. Un diritto sancito solo sulla carta o un diritto al quale ogni popolo ha diritto di appellarsi e di rivendicare? Alla luce degli insegnamenti tratti dalla seconda guerra mondiale bisognava ora chiedersi cosa volesse dire in concreto incolumità territoriale. Bisognava opporre qualcosa che nel 21esimo secolo definiamo ‘pensare in sfere di influenza’. La Germania e la Francia hanno lavorato insieme per ribadire questi principi. L’Unione Europea si è mostrata unita nel varare sanzioni contro la Russia e stabilendo: che solo dopo l’applicazione degli accordi di Minsk le stesse potranno essere revocate. E’ un tema del quale ci occuperemo di nuovo questa settimana al vertice del Consiglio Europeo. Personalmente credo però: che sia stata la reazione giusta, per quanto tutti noi ci teniamo ad avere anche buone relazioni con la Russia. Ma i nostri principi devo essere rispettati.
A marzo poi la tragedia dell’aereo della Germanwings sopra le Alpi francesi. A provocarla è stato un copilota tedesco che ha causato la morte di 149 persone provenienti da 16 nazioni e tra queste anche 16 studenti e due insegnanti di Haltern. Un gesto che ha provocato profondo sgomento ovunque. Eravamo senza parole. Ciò nonostante è stato toccante vedere con che determinazione, con che impegno i soccorritori francesi si sono adoperati. Un grazie di cuore a tutti loro. È stata un’altra dimostrazione dell’amicizia franco-tedesca.
Ad aprile, in seguito alla morte nel Mediterraneo di centinaia di persone, è stato convocato un vertice del Consiglio Europeo, dei capi di stato e di governo. Eravamo tutti profondamente colpiti e abbiamo tratto le dovute conseguenze. Da allora anche la marina tedesca si adopera, insieme a tanti altri, per salvare vite umane dall’annegamento e dalla brutalità degli scafisti e dei trafficanti. Dovevamo farlo in nome della nostra responsabilità umanitaria. Un grazie sentito ai nostri soldati che partecipano alla missione.
Oggi risulta però evidente che in aprile non avevamo ancora trovato una risposta per combattere efficacemente le cause di questa fuga in massa; non avevamo ancora trovato una ricetta per proteggere le nostre frontiere esterne.
Poi fino alla fine di giugno inizio luglio ci sono state le trattative con il governo greco. Inizialmente riguardavano la conclusione del seconda programma di aiuti, fino a quel momento valido. Successivamente e fino a estate inoltrata, in seguito a un avanti e indietro mai visto prima da parte del governo greco di sinistra – con tanto di referendum e nuove elezioni – le trattative per un nuovo programma, il terzo, questa volta sotto l’ombrello dell’ESM. Siamo arrivati al limite della rottura, per noi, ma anche per tutta l’eurozona. E per dirla francamente: dobbiamo un grande grazie innanzitutto al nostro ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble . Non è retrocesso di un passo, ha insistito nel far sì che il programma di aiuti si fondasse principi per noi indiscutibili: non ci può essere un dare senza un avere; responsabilità in proprio e solidarietà sono presupposti non scindibili. E così deve essere anche in futuro. Grazie mille Wolfgang Schäuble.
Ciò che ci unisce in questo modo di vedere è un comune obiettivo: l’Europa deve uscire dalla crisi più forte di quanto era prima. Solo così sarà possibile difendere nella dura concorrenza globale i nostri valori, i nostri interesse, i nostri posti di lavoro. E aggiungo: anche se si vedono già dei risultati – crescita economica in Portogallo, in Spagna e soprattutto in Irlanda – dobbiamo anche dirci che non abbiamo ancora superato del tutto la crisi. Gli errori di costruzione dell’unione economica e monetaria non sono stati ancora rimossi. E da parte della CDU così come del PPE faremo di tutto affinché non si scivoli più in una simile crisi; che lavoreremo sodo per salvaguardare la nostra competitività, per avere finanze solide, perché soni i presupposti per creare posti di lavoro. Posti di lavoro di cui l’Europa, e in particolare alcuni, molti paesi, hanno disperatamente bisogno.
Poi è stata la volta del G7 a Elmau, e i paesi membri hanno preso importanti decisioni. Per esempio riguardo ai cambiamenti climatici. Siamo stati determinati nell’affermare che questo deve essere il secolo nel quale ci impegniamo a contenere il riscaldamento del pianeta entro 2°C. E sono molto contenta che a Parigi ora siano state poste le basi per ciò. In un anno in cui sono successe così tante cose terribili, 196 stati sono stati capaci di agire di comune accordo e di porre così le fondamenta per un futuro sostenibile. Sono stati capaci di aprire nuove prospettive e di dare un contributo per combattere le cause della migrazione. Perché i profughi del clima non sono un’utopia, ma già oggi, purtroppo, una realtà.
Infine è arrivato l’agosto: il 19 agosto il ministro degli Interni Thomas de Maizère rendeva noti i dati sul numero di profughi previsti arrivare questo anno. In primavera pensavamo si trattasse ancora di 400mila persone. Poi abbiamo innalzato il numero a 800 mila. E poi è arrivata la notte a cavallo tra il 4 e il 5 settembre. Migliaia di profughi si trovavano bloccati a Budapest. E così si sono messi in cammino a piedi lungo l’autostrada che conduce verso l’Austria. A quel punto Germania e Austria hanno preso una decisione, e cioè quella di far entrare queste persone. Era una situazione che metteva alla prova i nostri valori europei, come raramente era accaduto prima. E io dico: si è trattato né più né meno di un imperativo umanitario.
Come quando si fa un esperimento in vitro, quella notte è risultato lampante ciò che nei mesi precedenti già si poteva vedere e da allora si continua a vedere: il mondo e l’Europa si confrontano con la più grande ondata di profughi dai tempi della seconda guerra mondiale. E l’Europa è chiamata in prima persona a dare risposte. Ciò che fino all’altro ieri ci pareva lontanissimo, ciò che vedevamo solo in televisione è ora letteralmente davanti al nostra porta di casa. La guerra in Siria, le bombe a grappolo di Assad, il dilagare dell’IS in Siria e in Iraq, il dato di fatto che la Libia non abbia un governo funzionante, la situazione in Afghanistan – tutto questo non è più lontano da noi, tutto questo sta arrivando da noi. L’Europa si confronta con una sfida storica – ma ci tengo ad aggiungere – che l’Europa è in grado confrontarsi con questa sfida.
E sono altrettanto convinta che la supererà. E’ vero, tutto quello che facciamo in Europa è terribilmente faticoso. Hans-Gert Pöttering lo sa, David McAllister ne è consapevole e anche Joseph Duval, così come tanti altri nostri colleghi del Parlamento europeo. Lo sa anche Günther Oettinger, anche se lui forse direbbe, che nella Commissione si agisce più velocemente. A volte c’è da diventare matti. Ma a ben vedere mai nulla è stato semplice in Europa, non nei dieci anni in cui l’ho vissuta direttamente e probabilmente nemmeno negli anni precedenti. Ma fino a oggi l’Europa ha sempre superato le prove, a volte per il rotto della cuffia, a volte all’ultimo momento, ciò nonostante ce l’ha fatta. E sono convinta: così sarà anche in futuro. E noi faremo la nostra parte.
Quattro settimane dopo, il 3 ottobre, festeggiavamo una data fortunata nella storia tedesca: festeggiavamo il 25esimo anniversario dell’unificazione, un’unificazione in pace e libertà. Per questo vorrei ringraziare in modo particolarmente il cancelliere dell’unificazione Helmut Kohl e sua moglie. (…)
E poi è arrivato il 13 novembre e con lui di nuovo il terrore a Parigi, proprio nella città che da sempre festeggia la vita. Ci siamo sentiti vicinissimi ai nostri amici francesi. Quel giorno si disputava un’amichevole tra la nazionale tedesca e la nazionale francese. E il fatto che i calciatori francesi siano rimasti nello stadio finché anche i nostri giocatori hanno potuto far ritorno a casa, l’ho inteso come un grande gesto dell’amicizia franco-tedesca. E’ stato un momento di vera unione in quelle ore terribili. Anche in futuro, se ci sarà da dire chiaramente – i terroristi non hanno alcuna chance di cambiare il nostro stile di vita – noi saremo al fianco della Francia. Noi non retrocederemo e alla fine vinceremo!
Due giorni dopo, caro Thomas de Maizière, abbiamo dovuto annullare un’amichevole tra la Germania e l’Olanda in calendario a Hannover. Ma è stata la decisione giusta: nel dubbio bisogna optare per la sicurezza. E colgo qui l’occasione per ringraziare tutte le nostre forze di sicurezza, la polizia. Quello che fanno per permetterci di vivere in pace e libertà è insostituibile.
La libertà sarà sempre più forte del terrore. La coalizione internazionale sta agendo e la Germania è parte di questa azione, e lo è da molto tempo: in Iraq, dove abbiamo fatto una cosa che mai prima nella storia avevamo fatto: abbiamo fornito, in accordo con il governo iracheno, armi in una zona di guerra. Le abbiamo fornite ai peshmerga affinché fosse possibile difendere le persone inermi. Tra queste per esempio i yazidi. Non potevamo stare semplicemente a guardare come un intero popolo venisse trucidato. E’ stata una decisione giusta.
E partecipiamo, su richiesta dei nostri amici anche ora, alla lotta contro l’IS in Siria. Vi partecipiamo con tornado dotati di strumenti di rilevazione. Colgo l’occasione per congratularmi con tutte le soldatesse e i soldati e ovviamente anche con Ursula von der Leyenefare per il 60esimo anniversario della Bundeswehr. Siamo orgogliosi di loro.
Tutto questo è stato il 2015, un anno ricco di momenti toccanti per la Germania, per l’amicizia franco tedesca, per l’Europa. Mai come ora vale quelle che c’è scritto qui dietro di me “Per la Germania e per l’Europa”. CDU – dipende da noi, dall’unione cristiano democratica tedesca esserci per la Germania, per l’Europa. E aggiungo dipende dalla CDU e dalla CSU (…).
Dal dopoguerra a oggi, cioè negli ultimi 66 anni, abbiamo governato insieme il paese per 46 anni. E anche oggi dipende da noi, dalla CDU e dalla CSU esserci per la Germania, per l’Europa.
Quest’anno mi sono ritrovata in una situazione alla quale sinceramente non ero preparata. Mi riferisco al 31 agosto quando, durante una conferenza stampa, ho detto riguardo ai profughi – ripeto qui le mie testuali parole:
“Dico semplicemente: la Germania è un paese forte. E l’atteggiamento con il quale dobbiamo affrontare la situazione è: abbiamo risolto tante così tante cose – ce la possiamo fare!
Ce la possiamo fare e lì dove incontriamo un ostacolo, dobbiamo superarlo, dobbiamo lavorarci per superarlo”.
Queste le mie parole in quella conferenza stampa.
E non appena pronunciate è cominciato un dibattito molto interessante e si è levata la domanda: come può dire “Ce la facciamo?”. E io vi rispondo: lo posso dire perché fa parte dell’identità del nostro paese fare grandi cose, trasformare un paese in macerie in un miracolo economico, trasformare il paese dopo l’unificazione in uno degli stati più stimati al mondo. E voglio aggiungere: è l’essenza del nostro essere democratici cristiani che ci spinge a mostrare di che cosa siamo capaci.
Nel 1952 Konrad Adenauer non ha detto: “Scegliamo un po’ di libertà”. Ha detto: “Scegliamo la libertà”. E l’ha detto in uno dei momenti più bui della guerra fredda; allora Stalin era ancora in vita. Adenauer è stato ferocemente criticato per non aver optato per l’unità nazionale a tutti i costi, preferendo invece una unità tedesca nella pace e nella libertà. Abbiamo dovuto attendere altri 37 anni perché ciò si avverasse, anni in cui è stato costruito anche il Muro. Ciò nonostante, quella decisione è stata giusta. CDU e CSU, noi siamo per la libertà. Questo è quello che ci ha donato l’unificazione nella pace e nella libertà.
Nel 1957 Ludwig Erhard non ha detto: “Benessere per quasi tutti”. Ha detto: “Benessere per tutti” e l’ha detto in un momento in cui c’erano ancora 730 mila disoccupati. Un numero che solo nel 1962 è sceso a 154 mila. Ma aveva ragione, perché noi possiamo volere solo una cosa: benessere per tutti. E questo vale ancora oggi.
Il 1° luglio del 1990, il giorno dell’unificazione monetaria, e tre mesi prima dell’Unificazione delle due Germanie, Helmut Kohl, pur non avendo ancora in mano il trattato per l’unificazione, diceva: “Grazie a uno sforzo collettivo riusciremo a trasformare presto alcune regioni della Germania dell’est in regioni rigogliose, dove vale la pena vivere e lavorare”.
Helmut Kohl quel 1° luglio disse: “Grazie a uno sforzo collettivo riusciremo a trasformare presto i Länder Mecklenburg-Vorpommern e Sachsen-Anhalt, Brandeburg, Sachsen e Thüringen in regioni rigogliose, dove vale la pena vivere e lavorare”. “Paesaggi rigogliosi!” Non so chi si ricorda ancora. E devo ammetter: io stessa per diversi anni ho fatto fatica ad associare liberamente il Mecklenburg-Vorpommern a un paesaggio rigoglioso. Ma oggi, 25 anni dopo l’unificazione tedesca, possiamo dire: abbiamo paesaggi rigogliosi nel Mecklenburg-Vorpommern e nello Sachsen-Anhalt, nel Brandeburg, in Sachsen e Thüringen.
Lo so bene che il compito con il quale ci confrontiamo oggi – la marea di profughi – è enorme. E per prima cosa voglio ringraziare tutti coloro che stanno dando una mano: in veste di addetti o in veste di volontari. Quello che fanno giorno dopo giorno è grandioso. Ed è meravigliosa l’immagine che il nostro paese sta dando di sé. Un grazie di cuore.
Si è vero, siamo di fronte a un compito enorme. E per questo è giusto che il dibattito tra i vertici della CDU sia stato acceso, prima di giungere poi a stilare insieme la “Dichiarazione di Karlsruhe”. Ed è giusto che il dibattito prosegua anche oggi. Voglio ringraziare Thomas Strobl e Thomas de Maizière, Julia Klöckner e Peter Tauber, Peter Altmaier e molti altri per la stesura die questa dichiarazione. Voglio ringraziare anche Volker Bouffier, le associazione, la Giovane Unione, il MIT e il KPV che hanno sottolineato: non dobbiamo dimenticarci delle apprensioni della gente. E noi ne abbiamo tenuto conto affermando nel documento che anche un paese forte come la Germania alla lunga può non farcela a gestire un numero così ingente di profughi.
Noi siano il partito popolare, l’unione cristiano democratica che si prende cura delle preoccupazioni delle persone. Ma siamo anche il partito popolare che non solo ne tiene conto ma plasma e trova anche soluzioni. Questa deve essere la nostra ambizione e la dichiarazione ora stilata e approvata da tutti, è all’altezza di questo obiettivo.
Il nostro intento è, e ci riusciremo, quello di ridurre considerevolmente il numero dei profughi. Non ultimo perché è nell’interesse di tutti: nell’interesse di noi tedeschi, visto i compiti che ci attendono, dal sostentamento fino all’integrazione nella società e nel mercato del lavoro. E’ nell’interesse europeo, considerando lo stato attuale dell’Unione Europea e considerando il nostro ruolo nel mondo. Ed è anche nell’interesse dei profughi; perché nessuno, a prescindere dal motivo che lo spinge a mettersi in cammino, lascia volentieri il proprio paese.
Tornando ora alla nostra storia, agli esempi che ho citato prima. Sono convinta che, se ora ci cominciassimo a dubitare delle nostre capacità, se ci scordassimo delle nostra responsabilità verso l’Europa, della nostra responsabilità umanitaria, della nostra responsabilità verso il nostro paese, allora non saremmo più l’Unione cristiano democratica tedesca. Ma noi lo siamo e per questo ce la faremo.
Ora provate a immaginare questa situazione: se tra dieci anni, nel 2025 qualcuno guarda indietro a questi mesi del 2015, ai mesi tra il 31 agosto e oggi e constata che non ci siamo lasciati nemmeno quattro mesi per affrontare questo compito, che ci siamo arresi prima, cosa pensate pneserebbe di noi? Probabilmente che non abbiamo creduto in noi stessi. Che non abbiamo fatto tutto il possibile per trovare una soluzione. Che non ci siamo spesi abbastanza in nome della solidarietà europea. Penserebbe che le generazioni prima di noi hanno pazientato per decenni mentre noi ci siamo arresi dopo pochi mesi. Credetemi vale la pena lottare per un’azione comune europea. Vale la pena lottare per il nostro ruolo nel mondo. Di questo sono profondamente convinta.
Come scriviamo nella dichiarazione di Karlsruhe, dobbiamo trovare una soluzione riguardo ai profughi, una soluzione che sia sostenibile e duratura, una soluzione che sia nell’interesse tedesco ed europeo. Questa soluzione può funzionare solo se supportata dalla solidarietà europea e in stretta cooperazione con i paesi di provenienza e di transito dei profughi. Si tratta di una sfida globale. E questa sfida globale la dobbiamo affrontare nel modo giusto per ottenere una soluzione duratura e sostenibile. Se riusciremo a fare ciò, allora anche il numero dei profughi si ridurrà sensibilmente.
Già ma come fare? Bisogna iniziare dal livello nazionale. Ciò a partire da noi, dalla Germania. Come prima cosa abbiamo stilato una lista dei paesi di provenienza sicuri. E voglio ribadirlo: siamo stati noi, la CDU, la CSU, sono stati i nostri ministri dell’Interno. Abbiamo impiegato mesi per convincere i governi regionali governati da coalizioni rosso-verdi o verdi-rossi ad approvare questa lista. E’ stato giusto inserire i Balcani occidentali tra i paesi di provenienza sicuri segnalando così che la stragrande maggioranza di coloro che arriva da lì non ha una chance di restare da noi. E un risultato l’abbiamo già ottenuto: se ancora nella prima metà di quest’anno il 40 per cento dei profughi giunti qui, arrivava dai Balcani, ora non ce ne sono quasi più. La nostra politica ha avuto successo. Ma siamo stati noi il motore, non gli altri.
Abbiamo fatto in modo che tutti comprendessero: noi non ci sottraiamo alla nostra responsabilità umanitaria. Siamo uno stato di diritto. Chiunque arrivi da noi, attraversa una procedura chiara e conforme alle norme vigenti. Coloro a cui viene riconosciuto lo status di profugo – indipendentemente dal fatto che sia un richiedente asilo o protezione sussidiaria – riceve protezione. Ma è altrettanto conforme alle nostre leggi il fatto che qualcuno possa non ottenere un permesso di soggiorno. Per questo il secondo punto della dichiarazione riguarda gli incentivi sbagliati: ora forniamo più aiuti concreti che finanziari. I Länder governati dalle altre coalizioni cercano spesso delle scappatoie per dimostrare che forse questa non è la strada giusta. Io invece dico: queste regole vanno applicate esattamente come va applicata la norma, e questo è il terzo punto, che i profughi provenienti da paesi sicuri, devono rimanere in futuro fino a sei mesi nei centri di prima accoglienza, cioè fino a quando la loro pratica è stata espletata. Lo scopo è, e siamo arrivati al quarto punto, di poterli riportare nei paesi di provenienza, qualora la loro richiesta di permanenza fosse stata rifiutata. Un compito che si può svolgere anche con modi gentili, ma deve essere spiegato anche chiaramente che: noi dobbiamo concentrare i nostri sforzi su chi chiede aiuto per motivi umanitari. Questo e ciò che ci guida.
E per questo è importante che le procedure di respingimento siano coerenti e chi non ha ottenuto il diritto di soggiorno venga rimandato indietro. Sono grata alla Conferenza dei ministri dell’Interno di avermi fatto notare che anche nel caso degli afghani non è necessariamente da escludere il rimpatrio. Dobbiamo dimostrare che le nostre procedure giuridiche ei risultati che ne derivano portano con sé delle conseguenze. In caso contrario le persone non se ne renderanno conto. (…)
Punto cinque. Abbiamo nel frattempo creato 4000 mila nuovi posti all’Istituto per la migrazione e i profughi, affinché le richieste di asilo o protezione sussidiaria possano essere elaborate più velocemente.
Punto sei. Il governo federale si accolla l’onere di ciò. Si prende in carico i rischi: 670 euro al mese per ogni richiedente asilo; per ogni profugo non accompagnato l’aiuto aumenta; ci sono ulteriori fondi per l’edilizia popolare.
Punto sette. Vigileremo affinché gli sgravi assicurati ai Länder vengano equamente suddivisi su tutti i comuni. Questo purtroppo non avviene sempre nelle coalizioni rosso-verdi. E ciò va cambiato.
Punto otto. Introdurremo una carta di identità del profugo e appronteremo una banca dati. Lo scambio dei dati è un esempio utile su come, in una situazione così difficile, possa funzionare la cooperazione tra comuni, Länder e governo federale. E chissà, forse può insegnarci qualcosa anche per future situazioni. Può insegnarci come la Germania possa essere in alcuni casi più mobile, più flessibile. E questo non ci farebbe male.
Punto nove, Sfrutteremo lo spazio di manovra concesso dal diritto internazionale, per sospendere per due anni il diritto di ricongiungimento familiare, nei confronti di coloro che non hanno ottenuto il diritto di asilo ma solo la protezione sussidiaria. Resta ovviamente il fatto che la CDU è il partito della famiglia. Ma il numero ingente delle persone arrivate da noi, mostra chiaramente che non sarebbe possibile decidere in modo rapido sul ricongiungimento familiare. La priorità nostra è ora come ora il riconoscimento dello status di profugo.
Ecco questo è quanto abbiamo messo in piedi al momento a livello nazionale. Ma per arrivare a soluzioni sostenibili nel tempo c’è bisogno anche di provvedimenti a livello europeo.
(Parte 1/2 – Traduzione di Andrea Affaticati)