“Roma città corrotta? Non credo: troppi impiegati. Sarebbe una corruzione fondata sull’anticipo degli arretrati, su una ferma richiesta di aumenti e sull’anticipo della liquidazione. Ed è mai possibile?” (Ennio Flaiano, “Il Mondo”, 2 aprile 1957).
Con la sua proverbiale e graffiante ironia, il grande scrittore aveva visto giusto già sessant’anni fa. Pensiamo alla cronaca di queste ore. Mentre è in corso il maxi processo a Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, si susseguono gli arresti di funzionari del Campidoglio che intascavano mazzette e di imprenditori che le elargivano per accaparrarsi gli appalti perfino per riempire qualche buca o rimuovere qualche sampietrino. Leggere questi miserabili episodi di malaffare, pur moralmente scandalosi, come la conferma dell’esistenza di una piovra mafiosa nella Capitale fa francamente sorridere.
La verità è più semplice, anche se non per questo meno seria. Infatti, ci troviamo di fronte al collasso economico e politico di una metropoli la cui geografia del potere è profondamente cambiata (ci sono anche meno soldi da distribuire a clientele e corporazioni), ma che – oggi come ieri – rimane senza “grandi peccatori”. Perché mancano, come scriveva sempre Flaiano nel 1960, “i falsi messia, i poeti inediti (tutti stampano qualcosa), i cupi visionari, gli affaristi pazzi, i pittori della domenica, i filosofi ambulanti: non avrebbero un pubblico”.
Insieme al denaro, la sola grande attrazione – egli aggiungeva- resta il sesso. Tuttavia, “questa inclinazione del romano verso la Donna non prende mai l’aspetto del rovinoso vizio e della passione. Il Sesso è un conforto, anch’esso vagamente parafamiliare. L’estate scorsa è venuta a Roma Lily Niagara a fare spettacoli di spogliarello. Dopo quattro giorni, nel locale dove lavorava, si entrava con la riduzione dell’Enal” (“La solitudine del satiro”, Adelphi, 2013).
In altre parole: il vizio a Roma è sempre stato razionale e utilitario, un fatto esteriore, un costume, una moda. Sta qui anche il carattere profondamente meschino della sua corruzione. Ci vuole solo la fervida immaginazione di qualche pubblico ministero o l’incallito voyerismo di qualche infoiato giornalista per trovarlo ardito, violento e spietato come quello delle multinazionali del crimine.