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La fabbrica delle “piccole nuore” in Cina

Quella cinese è oggi la seconda economia mondiale. Il mese scorso l’Fmi ha riconosciuto la sua moneta, il renminbi – tra amici, lo yuan – come una valuta di riserva a pari dignità con il dollaro, la sterlina e l’euro. Ad ottobre la Cina è addirittura arrivata ad abolire la notoria “one-child policy”, permettendo alle coppie sposate di generare un secondo figlio se proprio ci tengono. La politica del figlio unico era stata molto criticata all’estero, specialmente perché una forte preferenza per i più “pregiati” maschietti ha fatto sì che – attraverso varie tecniche, come l’aborto selettivo ma anche l’infanticidio nelle zone rurali – si sia creato un pesante squilibrio di genere nella popolazione. Le donne, per capirci, scarseggiano rispetto agli uomini. Si pensa che l’effetto durerà ancora per decenni.

Il rapporto “naturale” delle nascite tra maschi e femmine è di 105 a 100. Nella Cina di oggi è invece all’incirca 116 uomini per ogni cento donne, dopo avere toccato 122 nel 2008. La National State Population and Family Planning Commission cinese stima che i maschi “di troppo” in età da matrimonio saranno almeno trenta milioni nel 2020. È probabilmente una stima conservatrice. In pratica, questi uomini non troveranno mai una loro altra metà. Delle difficoltà dei cinesi ad ammogliarsi si sa, ma non finisce lì.

Come spesso capita, la popolazione ha inventato dei meccanismi di protezione contro gli effetti nefasti dei decreti dei mandarini della capitale. Il più curioso è l’usanza, particolarmente presente nelle province sud-orientali di Fujian e Jiangxi, di adottare delle ragazzine in tenera età – dette “piccole nuore” – da allevare in famiglia per fornire ai maschietti della casa le donne da sposare una volta cresciuti.

Il fenomeno è emerso – almeno in Occidente – con una recente ricerca apparsa sul giornale scientifico Population Studies dal titolo “Girl Adoption in China – A Less-Known Side of Son Preference”. Gli autori – Yuyu Chen della Peking University, Avraham Ebenstein della Hebrew University of Jerusalem, Lena Edlund della Columbia University e Hongbin Li della Tsinghua University – trovano che le ragazzine hanno una maggiore probabilità di essere adottate da coppie che hanno già dei figli maschi e che, malgrado vengano prese da famiglie mediamente più abbienti del resto della popolazione, la loro probabilità di compiere gli studi scolastici è molto minore delle non adottate, specialmente se ci sono già dei giovani maschi in casa.

Nelle province dove la pratica è più seguita, la proporzione di femminucce offerte in adozione non scende mai sotto il 6% ed è arrivato a toccare il 10% nel 1994, l’anno record. Gli studiosi sospettano che il relativo declino da allora sia più apparente che reale, un effetto statistico che dipende da un aumento dell’età media d’adozione. Non le vogliono più bambine, meglio che siano già in grado di lavorare. Sappiamo che una buona parte del mondo non ha mai abbracciato l’ideale – storicamente recente anche in Occidente – dell’amore romantico come base per il matrimonio. Il caso è comunque anche uno splendido esempio degli esiti inattesi che possono verificarsi quando i governi s’imbarcano in progetti d’ingegneria sociale senza capire fino in fondo come verranno recepiti dagli “utenti”, i cittadini comuni.


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